IL TRIBUNALE

    Ha  pronunziato,  all'esito  dell'odierna  udienza  camerale,  la
seguente  ordinanza  sull'appello presentato il 15 settembre 2000 dal
difensore  di  Rea Francesco avverso l'ordinanza emessa dal g.i.p. in
sede in data 4 luglio 2000 con la quale veniva rigettata l'istanza di
declaratoria  d'inefficacia  della  misura  cautelare  applicata  nei
confronti  del  Rea  con  ordinanza  del  16 febbraio  2000  ai sensi
dell'art. 297,  comma 3, c.p.p. decidendo in sede di rinvio a seguito
dell'annullamento  da  parte  della Corte di cassazione, con sentenza
del  2 febbraio  2001,  dep.  1  marzo 2001, dell'ordinanza di questo
tribunale  in  data  10 ottobre  2000  che aveva, in accoglimento del
gravame,  dichiarata  l'inefficacia della misura ed imposto al Rea il
divieto  di  dimora  nelle  Province di Napoli, Avellino, Benevento e
Caserta;

                              Rilevato

    Che   con   l'impugnato  provvedimento  il  g.i.p.  ha  rigettato
l'istanza  difensiva  ritenendo  che  tra i fatti oggetto della prima
ordinanza  (omicidio  Fico/Porricelli e connessi reati concernenti le
armi) e quelli contestati al Rea con l'ordinanza del 16 febbraio 2000
(associazione  camorristica  e  concorso  nell'omicidio  Fucile)  non
sussistesse  il  nesso  teleologico richiesto dall'art. 297, comma 3,
atteso  "che  l'omicidio oggetto della prima ordinanza risale a circa
sei  mesi  prima  dell'attivita' associativa oggetto della successiva
contestazione e faceva riferimento a situazioni pregresse collegabili
a  soggetti  e  fatti  del  tutto diversi" e che, benche' la fonte di
prova  fosse  per  entrambi  la medesima attivita' di intercettazione
ambientale,  tuttavia  i  fatti oggetto della seconda ordinanza erano
stati  riferiti  al  p.m.  solo  con un'informativa del gennaio 1999,
successiva al rinvio a giudizio disposto in relazione al primo fatto;
    Che  con  i motivi d'appello la difesa, premesso che il tribunale
costituito  ex  art. 310  c.p.p. aveva dichiarata l'inefficacia della
misura disposta a carico di Mollo Francesco avente identica posizione
processuale in quanto raggiunto da entrambe le ordinanze in questione
(con  decisione  divenuta  nelle  more  definitiva, avendo la 2a sez.
della Corte di cassazione, con sentenza n. 02121/01 del 20 marzo 2001
dep.  2 luglio  2001,  dichiarato  inammissibile il ricorso del p.m.,
ndr)  ha  dedotto  innanzi  tutto l'erroneita' del rilievo del g.i.p.
circa  il tempo dell'omicidio Fico/Porricelli atteso che esso avvenne
dopo  quello  in  danno del Fucile (oggetto della seconda ordinanza),
inquadrato  nella  lotta  tra clan camorristici contrapposti, matrice
questa    comune   anche   all'omicidio   Fico/Porricelli,   entrambi
addebitati, sulla base delle medesime intercettazioni, al Mollo ed al
Rea;  che  la  prima  informativa  dei Carabinieri di Torre del Greco
risale  al  17 febbraio  1998  di  tal che il p.m. era in possesso di
tutti   gli   elementi  per  la  contestazione  dei  delitti  oggetto
dell'ordinanza  del  16 febbraio 2000 gia' prima dell'emissione della
prima  ordinanza e che sarebbe in ogni caso assolutamente illogico ed
inspiegabile  che,  mentre  per l'omicidio Fico/Porricelli sono state
svolte    immediate    indagini,    per   l'altra   vicenda,   emersa
contestualmente alla prima, non sia stata svolta alcuna attivita' per
circa otto mesi;
    Che  in accoglimento del gravame, questo tribunale, costituito ex
art. 310  c.p.p.,  ha  annullato l'impugnata ordinanza ritenendo che,
essendo  il  p.m.  in possesso di tutti gli elementi sufficienti alla
contestazione  dei  fatti oggetto dell'ordinanza del 16 febbraio 2000
gia'  prima  dell'emissione della prima ordinanza cautelare non fosse
necessaria,   ai   fini  dell'applicabilita'  dell'art. 297,  comma 3
c.p.p.,  la  sussistenza  del  nesso  teleologico di cui all'art. 12,
comma  1 lettera b) e c) limitatamente ai reati commessi per eseguire
gli  altri,  richiamando  il  prevalente  indirizzo giurisprudenziale
della Cassazione sul punto;
    Che  con  la surricordata sentenza di annullamento, la Cassazione
ha  censurato  tale  decisione  per violazione di legge affermando il
principio che "come si desume in modo inequivoco dal tenore letterale
e  logico  della  norma  richiamata, il divieto della contestazione a
catena  opera  -  nel  caso  (come quello di specie) in cui sia stata
disposta  con  piu'  ordinanze la medesima misura cautelare per fatti
diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza -
sempre  che  in  relazione a tali fatti sussista connessione ai sensi
dell'art. 12,  primo  comma, lettere b) e c) c.p.p., limitatamente ai
casi  di reati commessi per eseguire gli altri e sempre che si tratti
di  fatti  desumibili  dagli atti del procedimento prima del rinvio a
giudizio  disposto  per il fatto con il quale sussiste connessione" e
rilevando  altresi'  difetto  di  motivazione  per  aver il tribunale
omesso  "di  indicare  sulla base di quali concreti elementi e' stato
raggiunto  il  convincimento che l'attivita' di intercettazione fosse
sicuramente tale da integrare in se stessa la sussistenza di elementi
indiziari  gravi  e  precisi  e  concordanti in ordine ai fatti tutti
oggetto della seconda ordinanza di custodia cautelare ivi compresa la
individuazione dei partecipi al clan Veneruso";
    Osserva  che  quest'ultimo  profilo  -  attinente  al  difetto di
motivazione  e  che  pertanto  non vincola questo giudice di rinvio a
ritenere  necessari,  per l'emissione dell'ordinanza cautelare indizi
gravi precisi e concordanti ne' a ritenere che per emettere ordinanza
cautelare  in  relazione  al  delitto  di  cui  all'art. 416-bis  sia
necessaria l'individuazione dei partecipi al clan e non bastino gravi
indizi   in   ordine   alla   sussistenza  dell'associazione  e  alla
partecipazione  ad  essa  del  soggetto indagato, trattandosi di meri
passaggi  argomentativi  esplicativi  della  necessita' di provvedere
all'indicazione,  omessa  nel provvedimento impugnato, degli elementi
integranti  le  condizioni  di  cui  all'art. 273 c.p.p. - risulta in
effetti pregiudiziale dal momento che se l'indagine richiesta avesse,
in  fatto,  esito  negativo difetterebbero in radice le condizioni di
applicabilita'  dell'art. 297,  comma 3 c.p.p. Ha invero sostenuto il
p.m.  nel  suo parere al g.i.p. e poi nel ricorso per cassazione, che
ne'  al  momento dell'esercizio dell'azione penale in ordine ai fatti
di  cui al primo titolo custodiale ne', a maggior ragione, al momento
dell'emissione  di  questo,  esisteva  a  carico  del  Rea  un quadro
indiziario  connotato dal requisito della gravita' in ordine al reato
di cui all'art. 416-bis e di concorso nell'omicidio Fucile contestati
con  la seconda ordinanza (nella quale non e' stato contestato al Rea
alcun  reato  di  evasione  -  addebitati  invece  al  Mollo  -  come
erroneamente sostenuto nella sentenza della Cassazione) atteso che:
        l'informativa  del  17 aprile  1998  atteneva  ad una sparuta
parte  delle  intercettazioni  ambientali  aventi ad oggetto dialoghi
circa il delitto di tentata estorsione ascritto al Mollo;
        un   quadro  indiziario  adeguato,  idoneo  a  contestare  la
fattispecie  dell'associazione  camorristica e gli altri reati di cui
alla  successiva ordinanza e' stato offerto solo dall'informativa dei
CC.  del  16 febbraio  1999  contenente gli elementi investigativi in
base  ai  quali  erano  stati  compiutamente  identificati i soggetti
accusati  di  aver  costituito o preso parte, insieme al Rea, al clan
Veneruso   nonche'   quelli  necessari  per  contestare  il  concorso
nell'omicidio Fucile;
        la   mera   disponibilita'   materiale   delle  bobine  delle
intercettazioni    (avvenuta   con   la   cessazione   dell'attivita'
d'intercettazione nell'aprile del 1998) non implica per il p.m. anche
la  conoscenza  del  contenuto  dei  dialoghi intercettati, essendone
necessaria la trascrizione;
        la  indispensabile  e complessa attivita' di ricerca dei dati
di  riscontro  e'  stata portata a conoscenza dell'Ufficio di Procura
solo  con  l'informativa  del 16 febbraio 1999, successiva persino al
rinvio  a  giudizio  del  Rea  e  del  Mollo  in  ordine all'omicidio
Fico/Porricelli oggetto dell'ordinanza dell'ottobre 1998;
    Siffatte  affermazioni  non  possono  pero',  ad avviso di questo
tribunale, esser condivise.
    Va  innanzi  tutto  rilevato che a norma degli artt. 267, comma 4
(secondo  cui  il  p.m.  procede  alle  operazioni di intercettazione
personalmente  ovvero  avvalendosi  di  un  ufficiale di p.g.) e 268,
commi  2,  3  e  4  (secondo  cui  nel  verbale  delle  operazioni di
intercettazione  e' trascritto anche sommariamente il contenuto delle
comunicazioni  intercettate;  i  verbali  e  le  intercettazioni sono
immediatamente  trasmessi  al  p.m.  che, salva l'eccezione di cui al
comma 5,  entro  5 giorni provvede al deposito in segreteria) il p.m.
che  ha  chiesto ed ottenuto l'autorizzazione all'intercettazione non
ha  la  mera disponibilita' materiale delle bobine ma, con i verbali,
anche  la  piena  disponibilita'  giuridica  degli  elementi di prova
emergenti   dal   contenuto   delle   comunicazioni,   tanto  che  la
giurisprudenza  e'  assolutamente  pacifica nel ritenere che, ai fini
della  richiesta  di  misura  cautelare,  non  e'  affatto necessario
attendere  la  trascrizione delle registrazioni ma sono sufficienti i
verbali  contenenti  sommariamente  il  contenuto delle comunicazioni
(cd. brogliacci).
    Ne  consegue  che  in  tanto  potrebbe  affermarsi  che il quadro
indiziario  abbia  assunto il requisito della gravita' solo a seguito
dell'informativa  dei  Carabinieri di Torre del Greco del 16 febbraio
1999  in  quanto  con  essa  fossero  stati  portati a conoscenza o i
riscontri  esterni  eventualmente  necessari  ovvero  gli esiti delle
indagini   eventualmente   necessarie   per  l'identificazione  degli
interlocutori  o dei personaggi cui costoro si riferiscono durante le
conversazioni intercettate.
    Ma  nel  caso di specie non e' cosi', ne' in relazione al delitto
di  cui  all'art. 416-bis  ne' in relazione al concorso nell'omicidio
Fucile, contestati al Rea con la successiva ordinanza del 16 febbraio
2000.
    Quanto  all'ipotesi  associativa, va infatti evidenziato che gia'
nell'ordinanza  cautelare  applicativa  della  custodia  cautelare in
carcere per l'omicidio Fico/Porricelli, emessa nell'ottobre del 1998,
venne  contestata  al  Mollo ed al Rea l'aggravante di cui all'art. 7
legge n. 203/1991 avendo agito "avvalendosi delle condizioni previste
dall'art. 416-bis  C.P.  essendo  il  Mollo ed il Rea appartenenti ad
organizzazione  camorristica"  e,  nella richiesta del p.m. riportata
come parte integrante della motivazione, si legge: "successivamente i
CC.  di  Torre  del  Greco,  con  informativa  del  17 febbraio 1998,
nell'ambito  dell'attivita'  di  indagine  condotta nei confronti del
clan Veneruso (operante in Volla e paesi limitrofi) evidenzia vano il
contenuto  di  una conversazione ... (nel corso della quale) il Mollo
parla  con  un suo amico in corso di identificazione e fa riferimento
ad  alcuni  personaggi  affiliati al clan di cui egli stesso fa parte
...  parla, tra gli altri, anche di Rea Francesco detto "o' Pagliesco
raccontando  dell'esecuzione dell'omicidio "del marito e della moglie
individuato  dagli  inquirenti in quello dei coniugi Fico/Porricelli,
avvenuto   il   29 gennaio   1997"  Orbene  la  stessa  contestazione
dell'aggravante  di  cui  all'art. 7,  legge  n. 203/1991 nei termini
suindicati sta a significare che gia' in quel momento esistevano, nei
confronti del Rea e del Mollo, indizi gravi anche in ordine alla loro
partecipazione al "clan Veneruso".
    L'  inconfutabile  conferma  di  cio' proviene dalla richiesta di
applicazione  della  misura  successivamente  formulata  dal p.m. (ed
accolta  dal  g.i.p.  con  l'ordinanza  del 16 febbraio 2000) che, in
relazione  all'esistenza  del  clan Veneruso e alla partecipazione ad
esso del Rea, cosi' motiva:
    "Il  clan Veneruso deve il suo nome a Gennaro Veneruso, promotore
e  capo  carismatico indiscusso, come si vedra', del gruppo che opera
prevalentemente  nell'area  del  comune di Volla. Attualmente il clan
Veneruso  si  e'  assicurato  una  posizione di assoluto ed esclusivo
predominio  nell'area  vollese,  imponendo la propria forza di gruppo
organizzato sia nei confronti della popolazione sia nei confronti dei
clan  operanti  nei  comuni  viciniori.  La  commissione  di efferati
delitti  contro  l'incolumita'  personale  nei  confronti  di "nemici
esterni  ma  anche  interni  all'associazione  stessa  (si  pensi  in
particolare  al  duplice  omicidio  Fico-Porricelli e all'omicidio di
Fucile  Francesco di cui si dira) ha "accreditato gli uomini del clan
Veneruso  presso  le  altre organizzazioni militari; d'altro canto la
forza militare manifestata dal clan Veneruso per la realizzazione dei
propri  scopi  e la sorprendente disponibilita' di armi di vario tipo
ha  contribuito a dare maggiore spessore alla capacita' intimidatoria
dell'organizzazione  stessa. Il clan Veneruso puo' infatti contare su
uno  stato  di  effettiva  soggezione  e  omerta'  della popolazione,
circostanza  questa  che  consente  all'organizzazione  di perpetrare
delitti in maniera quasi indisturbata e anzi al riparo dal rischio di
possibili  denunce  da  parte  delle  vittime.  Come  si  dira'  piu'
diffusamente  in  seguito,  l'attivita' illecita al tempo stesso piu'
redditizia  e  diffusa  nell'area vollese e', secondo quanto riferito
dalle  stesse  forze  dell'ordine,  quella delle estorsioni. Cio' sia
perche'  numerose  sono  le  iniziative per la realizzazione di opere
pubbliche  nel  territorio  del  comune di Volla, sia perche' il clan
puo'  contare sulla scarsa collaborazione con le forze dell'ordine da
parte  della  popolazione  civile,  che  solo  di  rado ha denunciato
episodi di violenza e/o minaccia".
    Prima  di concentrare l'attenzione sul clan Veneruso, e' tuttavia
opportuno  inquadrare  in  chiave  storica le alleanze createsi tra i
diversi   clan   camorristici   operanti  nell'area  vesuviana  e  in
particolar  modo  nei comuni di Casalnuovo di Napoli e di Volla. Cio'
al  fine  di  evidenziare  come  lo  stesso  clan  si  sia  nel tempo
assicurato  un ruolo di reale predominio e di effettivo controllo del
territorio  nella  zona  vollese.  Il  clan  Veneruso  si  e' infatti
garantito  da  possibili  ingerenze  e intrusioni esterne ad opera di
altri  gruppi,  sia  grazie  all'affermazione di forza che promana da
tale  posizione egemonica, sia attraverso un sistema di alleanze piu'
o meno esplicite con i clan operanti nei comuni limitrofi.
    In particolare Gennaro Veneruso era legato da un saldo vincolo di
amicizia con Francesco Romano, esponente del clan Romano, operante in
Casalnuovo  di  Napoli.  Per  meglio  chiarire  l'importanza  di tale
legame,  occorre  fare  una  premessa  sulla guerra di camorra che in
Casalnuovo  dopo la eliminazione di Egizio Antonio si e' aperta e per
certi  versi e' tuttora in corso tra il clan Romano e il clan Piscopo
per la spartizione del territorio e l'affermazione di egemonia per la
gestione  delle attivita' illecite. Antonio Egizio era, sin dai primi
anni  `90,  il  capo  dell'organizzazione  camorristica che gestiva e
controllava  direttamente  il  territorio  di Casalnuovo e di Acerra,
esercitando  nel contempo anche una forte influenza sui clan operanti
in  territori  confinanti,  tra  cui il clan Veneruso. Il 13 febbraio
1993,  Egizio  rimaneva  vittima di un agguato deciso all'interno del
suo  stesso  clan  da  parte  delle  famiglie  Romano  e Piscopo, che
intendevano  assumere la leadership del sodalizio e che per la stessa
ragione entravano subito dopo in conflitto tra loro.
    Orbene  per  Gennaro Veneruso il legame tra il suo clan e il clan
Romano  e'  tanto  piu'  prezioso  proprio perche' tale ultimo gruppo
camorristico  si  contende  con  il  clan Piscopo il potere egemonico
nell'area  di  Casalnuovo,  paese  confinante  con Volla. Ulteriore e
ugualmente  importante  punto  di unione tra il clan Romano e il clan
Veneruso  e',  poi,  il  forte vincolo di amicizia che lega Francesco
Rea,  detto  'o  Pagliesco,  (elemento  di  spicco militante nel clan
Romano)  e  Manna  Pasquale  (esponente  di notevole rilievo, come si
vedra',  del  clan  Veneruso).  L'esistenza di una effettiva e solida
rete  di  collegamento  tra gli uomini del clan Veneruso e gli uomini
del  clan  Romano  e  i reciproci interessi nel mantenere rapporti di
"buon  vicinato"  nell'area  dei  comuni  di Volla e di Casalnuovo e'
attestata, inoltre, dalle risultanze investigative che hanno condotto
all'adozione  del  provvedimento  restrittivo  in  carcere emesso dal
g.i.p.  presso  il  Tribunale di Napoli con ordinanza n. 353/1998 del
16 ottobre  1998  nei  confronti  di Mollo Francesco e Rea Francesco,
accusati  del duplice omicidio in danno di Fico Pasquale e Porricelli
Lucia,  avvenuto  in  Casalnuovo  il  29 gennaio  1997.  Tale vicenda
delittuosa si iscrive a pieno titolo nella faida di camorra esistente
in  Casalnuovo  tra  il  clan  Piscopo e il clan Romano e proprio per
questo  segna  un  importante momento di saldatura tra gli uomini del
clan Rea- Romano e gli uomini del clan Veneruso.
    Il  duplice  omicidio  Fico-Porricelli e' infatti, nell'ambito di
una  catena  di  delitti per cosi' dire a reazione tra i due clan, il
frutto  di  una vendetta personale voluta da Rea Francesco e messa in
atto  da  Mollo Francesco per l'omicidio di Rea Giuseppe, fratello di
Francesco, e di Raffaele Di Donato verificatosi il 7 novembre 1994 in
seguito  ad  un  agguato  voluto  dall'organizzazione  capeggiata  da
Piscopo  Pino  e  mirato alla eliminazione di Rea Francesco (anche se
poi, per effetto di una vero e proprio errore di persona, altre, come
si vedra', furono le vittime).
    Ruolo  decisamente  significativo  nella  commissione del duplice
omicidio  Rea-Di Donato, lo ebbe la famiglia Fico, la quale, abitando
in  Casalnuovo  in  una  abitazione  posta  di fronte a quella di Rea
Francesco  era  stata  incaricata di segnalare gli spostamenti di Rea
Francesco,  all'evidente  scopo  di  consentire  agli uomini del clan
Piscopo di tendere a questo un agguato. La collaborazione prestata in
tale circostanza dalla famiglia Fico trova ampia giustificazione alla
luce  dei  rapporti  pregressi  esistenti  tra  Fico  Pasquale  e Rea
Francesco.
    Fico  aveva  infatti  ottenuto  da quest'ultimo un prestito di 18
milioni,  per  la  restituzione  del  quale  era  stato  pattuito  un
pagamento rateale; il Fico tuttavia dopo aver pagato la prima rata si
mostro'  inadempiente;  non  solo,  ma  quando  il  Rea  pretese  con
insistenza  che il Fico tenesse fede agli accordi presi, tra i due ne
era nata una discussione accesa che evidentemente aveva fatto sorgere
nel  Rea  un  desiderio  di  vendicarsi  e  di punire l'atteggiamento
prepotente  e  arrogante  del proprio debitore. Questo motivo e' alla
base  dell'attentato  sotto  forma  di  gambizzazione posto in essere
dallo stesso Rea nei confronti di Fico Pasquale.
    La  trama  che  consente  di  inquadrare in un'unica cornice tali
eventi  e'  ben  spiegata  dai  collaboratori di giustizia, Romanelli
Giuseppe  e  Manna  Amodio,  sentiti  dal  p.m.  di  questa d.d.a. il
22 aprile   1998,   i  cui  verbali  sono  acquisiti  agli  atti  del
procedimento.
    Quanto   poi   alla  valenza  che  deve  essere  attribuita  alle
dichiarazioni  rese  dai  due  collaboranti, si tenga presente che la
seconda  sezione  della  Corte  di  Assise di Napoli, nell'ambito del
procedimento  a  carico  di Manna Amodio, Romanelli Giuseppe, Capasso
Antonio,   Panico  Gennaro,  Fico  Domenico  e  Cirella  Aniello  per
l'omicidio  di  Rea  Giuseppe  e  Di Donato Raffaele, nel valutare il
contenuto  delle dichiarazioni accusatorie ed autoaccusatorie dei due
collaboratori,  ha affermato "la attendibilita' intrinseca di Manna e
Romanelli, stante la complessiva fondatezza delle loro dichiarazioni,
corrispondenti  ai  risultati  della  prova  generica,  nonche'  alle
deposizioni  testimoniali  descritte, in mancanza di contestazioni di
rilievo,   deve  ritenersi  una  costanza  e  coerenza  delle  stesse
dichiarazioni  e  una  loro  autonomia, in quanto ispirate a fonti di
conoscenza   diretta  e  indiretta  (per  il  Romanelli),  riportando
quest'ultimo la genesi delle sue accuse".
    Al  di  la',  poi,  delle  conclusioni  cui e' giunta la Corte di
assise  nel valutare la sussistenza in capo ai singoli imputati degli
elementi  per  la  affermazione  della loro responsabilita' penale in
ordine al duplice omicidio Rea-Di Donato (la Corte ha emesso sentenza
di  condanna  nei confronti di Manna e Romanelli e di assoluzione nei
confronti   di  tutti  gli  altri,  cio'  che  conta  e'  la  robusta
convinzione   negli   ambienti   criminali   che  il  vero  obiettivo
dell'agguato  era  Rea  Francesco  e  che  i  Fico  ebbero  un  ruolo
determinante  nella  fase  esecutiva  dell'assassinio.  Di  non  poco
significato,  al riguardo e' il contenuto delle dichiarazioni rese da
Fico  Pasquale  il  30 dicembre  1996,  cioe'  il giorno successivo a
quello  in cui il figlio Fico Domenico era stato tratto in arresto in
esecuzione  dell'ordinanza  di  custodia  cautelare emessa dal g.i.p.
presso  il  Tribunale  di  Napoli  proprio con riferimento al duplice
omicidio  Rea-Di  Donato.  Fico Pasquale, presentatosi spontaneamente
presso  la  caserma  dei  C.C. di Castello di Cisterna, nell'evidente
intento  di  scagionare  il  figlio,  attribui'  a  se' il ruolo e la
condotta  contestata  a  Fico  Domenico, accusandosi in tal modo egli
stesso di avere concorso nell'omicidio.
    Appare  dunque evidente che, anche a prescindere dalle risultanze
dibattimentali,  negli ambienti malavitosi in cui il duplice omicidio
Rea-Di   Donato   e'  maturato,  i  Fico  vengono  individuati  quali
responsabili  dell'azione  delittuosa: da cio' la sete di vendetta di
Rea Francesco contro Fico Pasquale e Fico Domenico.
    A  soddisfare  tale  abietto  desiderio e', come si e' detto, uno
degli  esponenti  del  clan  Veneruso, Mollo Francesco, destinatario,
unitamente  a  Rea  Francesco  dell'ordinanza  di  custodia cautelare
n. 353/1998  emessa  dal  g.i.p.  presso  il  Tribunale  di Napoli in
relazione al duplice omicidio Fico-Porricelli.
    Il  forte  legame  con Rea Francesco consente al clan Veneruso di
esercitare  la propria influenza anche sulle zone limitrofe il comune
di  Volla,  in particolare nella zona di Castello di Cisterna e nella
localita' Casarea.
    Che  tale  potere non sia poi solo una astratta potenzialita' per
il  clan  Veneruso emerge in maniera lampante dalla lettura di alcuni
brani   delle  intercettazioni  ambientali.  In  particolare,  in  un
occasione  Mollo  si  lamenta  con  i propri compagni di essere stato
costretto,   lui   che,   si   ricorda,  era  detenuto  agli  arresti
domiciliari,  a  commettere  un'evasione  per  recarsi in Castello di
Cisterna  al  fine  di  dare una lezione a Gallo Claudio. Questi, che
viene  indicato  nei dialoghi anche come lo zio di Rodolfo (Biondelli
Rodolfo  perse la vita in un agguato di camorra il 4 aprile 1996), e'
l'autore  dei  cosi'  detti  "cavalli  di ritorno", vale a dire delle
estorsioni praticate per costringere le vittime a consegnare somme di
danaro  per riacquistare la disponibilita' di autovetture di cui sono
stati  in  precedenza derubati. Cio' che fa scattare la dura reazione
di  Mollo  e'  la  necessita'  di  non  esasperare  gli  animi  della
popolazione,  la  quale, di fronte a piccole ma pur sempre spiacevoli
aggressioni  alla  proprio  vita quotidiana potrebbe essere indotta a
cercare  la  protezione  da  parte  delle Forze dell'Ordine. In altre
parole   il   clan  intende  controllare  il  territorio  di  propria
pertinenza   anche  e  soprattutto  ergendosi  a  tutore  dell'ordine
pubblico e sovrapponendosi in tal modo all'apparato statuale.
    II.b.1.C. Omicidio Fico-Porricelli.
    E'  necessario  premettere  che  per  tale vicenda pende autonomo
fascicolo  processuale;  se  tuttavia  si  ritiene opportuno parlarne
anche  in  tale  sede  e'  per mettere in risalto la riconducibilita'
dell'omicidio   medesimo   nell'ambito  di  un  piano  delinquenziale
maturato all'interno dell'associazione del clan Veneruso.
    Il  29 gennaio  1997,  verso  le ore 13,30 circa, in Tavernanova,
vennero uccisi i coniugi Fico Domenico e Porricelli Lucia, i quali al
momento  dell'agguato  si  trovavano  a bordo di una autovettura Alfa
Romeo  75 di colore rosso, che viaggiava lungo la via Nazionale delle
Puglie  in  direzione  di  Pomigliano  d'Arco.  La corsa fu arrestata
dall'esplosione  dei  colpi d'arma da fuoco, allorche' i due coniugi,
giunti  all'altezza  dell'incrocio  per Casalnuovo (via Arcora) e per
Volla  (via Filichito), venivano affiancati da un'autovettura a bordo
della quale viaggiavano i sicari.
    Nel  corso  del sopralluogo, venivano rinvenuti 19 bossoli cal. 9
lungo  e  cal.  9  corto  (come  emerge dall'annotazione dei militari
operanti  intervenuti  nell'immediatezza).  La diversita' dei bossoli
rinvenuti  sul  luogo  dell'omicidio,  non  compatibili  in  una sola
pistola,  rende  evidente  che  sono  state  utilizzate  due  pistole
semiautomatiche.  Una  conferma  dell'ingente  volume di fuoco con il
quale  furono  investite  le  vittime,  si  ricava dai referti medici
dell'ospedale  "Loreto  Mare"  di Napoli, nei quali si da' atto della
presenza  di numerose ferite d'arma da fuoco rinvenute su entrambe le
salme.
    L'identificazione  dei  responsabili di tale azione delittuosa in
Mollo Francesco, quale esecutore materiale, e in Rea Francesco, quale
mandante,  e'  stata  possibile  grazie  alle  risultanze  probatorie
dell'attivita'    di   intercettazione   ambientale   svolta   presso
l'abitazione  di  Mollo Francesco, ove lo stesso si trovava ristretto
agli arresti domiciliari.
    In  particolare  dall'ascolto della conversazione del 13 febbraio
1998  di  cui  all'allegato  9,  si ricava che Mollo, discorrendo con
altro  interlocutore non identificato, si vanta di essere l'autore di
10  omicidi consumati in Volla e in particolare di quello in danno di
Fico Pasquale e Porricelli Lucia. Si riporta di seguito integralmente
la parte del dialogo in esame:
    (omissis)
        Mollo  F.:  Il  piacere  piu'  grande  gliel'ho  fatto  io al
Pagliesco.
        Manna A.: Si, il fatto di quelli di Tavernanova.
        Mollo F.: Il marito e la moglie.
        Manna A.: e la figlia, perche' non la sparasti?
        Mollo  F.:  La  figlia  non  la  sparai, perche' non la volli
sparare.  Sparai venti botte. Dieci addosso al marito e dieci addosso
alla  moglie,  con  due  pistole. Dissi: "Franchitiello "o' Pagliesco
solo  io te la posso dare la soddisfazione". Il "Pagliesco" piangeva,
disse  Pasquale  "Pasqualino"  tiene  le  corna,  te  lo  dico ora la
soddisfazione me la doveva dare lui e non me l'ha data. Me l'hai data
tu.
        Manna A.: Ha le corna veramente?
        Mollo F.: Pero' stai zitto.
        Manna A.: La moglie gli ha fatto le corna?
        Mollo F.: No, non hai capito.
        Manna A.: Io credevo che stava sotto allo schiaffo.
        Mollo F.: Il "Paliesco" voleva la soddisfazione da Pasquale e
Pasquale  non gliela volle dare. Gliela diedi io la soddisfazione, il
"Pagliesco"  lo  sai  che disse vicino a me, piangeva con le lacrime,
disse:  "Franchitiello,  qualsiasi  momento  ti  trovi  nei problemi,
succedesse  qualcosa,  vieni  da  me, io 2 - 3 milioni al mese non mi
mancano mai, perche' io do i soldi con l'interesse, ti faccio campare
pure a te. Il "Pagliesco" mi vuole bene a me, schifa a tutti quanti a
Volla,  mi  vuole  bene solo a me, perche' la soddisfazione gliel `ho
data io.
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 9).
    La  perfetta  coincidenza  tra  i  particolari  con  cui  ebbe  a
verificarsi  il  duplice  omicidio secondo il racconto di Mollo e gli
elementi  di  fatto  oggettivamente  riscontrati  dai  CC  in sede di
sopralluogo  rende  chiaro che l'atteggiamento di Mollo e' tutt'altro
che  una  millanteria  e che proprio questi e' l'autore materiale del
duplice  omicidio. D'altro canto anche il g.i.p., nell'accogliere con
l'ordinanza  n. 353/1998  la  richiesta  di applicazione della misura
custodiale avanzata da questa d.d.a. nei confronti di Mollo e di Rea,
aveva   condiviso   l'assunto   accusatorio   basato   sull'effettiva
conoscenza da parte del Mollo di significanti particolari inerenti la
vicenda di cui si tratta. Si tenga infatti presente che:
        Le  vittime  dell'agguato  erano due coniugi ("il marito e la
moglie");
        i  CC riferiscono che l'autovettura condotta dalla Porricelli
venne  attinta  dagli  spari  lungo  la  via  Nazionale delle Puglie,
all'altezza  dell'incrocio  per  Casalnuovo  da  un  lato e per Volla
dall'altro; nel dialogo tra Mollo e il suo interlocutore il luogo del
commesso   reato   e  indicato  indifferentemente  in  "Volla"  e  in
"Tavernanova".   Geograficamente   Tavernanova   e'  in  effetti  una
localita' che forma una sorta di triangolo tra i comuni di Pomigliano
d'Arco, Casalnuovo e Volla;
        la  figlia  delle  vittime, Fico Antonietta, si trovava nella
stessa  auto  a  bordo  della quale viaggiavano i genitori al momento
dell'attentato;  Mollo  asserisce  di  avere  voluto  risparmiare  la
figlia;
        in  sede  di  sopralluogo  sul  luogo  del  delitto  venivano
repertati 19 bossoli calibro 9 lungo e calibro 9 corto (i due calibri
differenti  non  sono compatibili in una sola pistola, ragion per cui
le  armi utilizzate per il delitto dovevano essere almeno due), Mollo
riferisce come si e' visto di avere agito "con due pistole";
        al  Fico  e alla Porricelli vennero refertate numerose ferite
d'arma  da fuoco, Mollo racconta di avere esploso "venti botte, dieci
addosso al marito e dieci addosso alla moglie".
    Come   si   e'   detto  per  tale  fatto  delittuoso  si  procede
separatamente  (in  merito  a  tale  vicenda  Rea  Francesco  e Mollo
Francesco,  colpiti  entrambi da provvedimento di custodia cautelare,
sono  stati  rinviati  a  giudizio  dinanzi  alla  Corte di assise di
Napoli);  cio'  che interessa in questa sede evidenziare e' che nella
commissione  del duplice omicidio Fico-Porricelli, Mollo Francesco ha
agito  non  isolatamente o a titolo personale, ma in quanto affiliato
all'associazione  camorristica  del  clan  Veneruso.  Il  passo della
conversazione oggetto di intercettazione ambientale nella quale Mollo
confessa  in  via  assolutamente  confidenziale  all'amico  di essere
l'autore  del  fatto,  deve  essere  letta in un piu' ampio contesto,
tenendo  anche  presente il tenore dell'intero dialogo. In effetti il
Mollo,  dopo  che  Arienzo  Salvatore e tale Vincenzo sono andati via
dalla sua abitazione, si sfoga con l'altra persona che rimane in casa
(tale   Alessandro   chiamato   anche  "Cafone")  e,  nell'analizzare
l'attuale   stato  in  cui  si  trova  il  clan  Veneruso,  manifesta
l'amarezza  che  prova  per il fatto di essere ristretto agli arresti
domiciliari  in relazione a una vicenda delittuosa di cui anche altri
sono  responsabili.  Secondo  l'angolo visuale del Mollo, egli che e'
"uomo  d'onore,  vero  uomo  e che non ha chiamato in causa gli altri
affiliati  del  clan,  si  trova  costretto  a  scontare un regime di
detenzione pur essendo un elemento cardine del gruppo; laddove i suoi
"compagni", che egli ritiene di uno spessore criminale inferiore, pur
avendo  bisogno  di  lui  e  in  special  modo  del sua capacita' nel
maneggiare  armi, non si adoperano sufficientemente per farlo tornare
in  liberta'. Tale irriconoscenza e' tanto piu' grave proprio perche'
Mollo, nell'interesse del sodalizio, si e' macchiato di dieci omicidi
(Mollo  ci  tiene  a  sottolineare l'elevato numero di persone che ha
ucciso),  atteso  che  ne'  Gennaro  Veneruso ne' Pasquale Manna (gli
altri  due uomini di vertice del clan) sono in grado di sparare. E' a
tale    proposito   che   Mollo   racconta   del   duplice   omicidio
Fico-Porricelli.  E'  evidente  dunque  che  lo stesso Mollo inquadra
nell'ambito associativo l'azione criminale commessa.
    II.c.1.D Rea Francesco.
    Nelle   pagine   che   precedono,  si  e'  gia'  posto  l'accento
sull'importanza  apicale  che  Rea  Francesco ricopre all'interno del
sodalizio   criminale.   Si   e'   in   particolare  gia'  detto  del
riconoscimento  che  Rea  Francesco  riceve  direttamente da Veneruso
Gennaro quale soggetto chiamato a guidare il clan, unitamente a Mollo
Francesco  e  Manna Pasquale, allorche' lo stesso Veneruso non avesse
potuto piu' svolgere il suo ruolo di capo.
        Mollo F.: Mi disse: "non preoccuparti. non prenderti collera,
stai tranquillo. Non ci sono problemi, tanto siamo tre di noi. Io, tu
e  Pasquale  (Veneruso  Gennaro,  Manna  Pasquale  e  Mollo Francesco
n.d.c.".  Disse  Pasquale:  "gia'  lo  sa.  Oggi o domani che dovesse
succedere  qualche disgrazia a me o a lui, devi essere tu a comandare
a Volla con il "Pagliesco" (Rea Francesco n.d.c.)".
        Mollo N: Tu dicesti che non volevi farlo fare pace.
        Mollo F.: Come?
        Mollo  N:  Tu  dicesti  che non volevi farlo fare pace con il
"Pagliesco".
        Mollo   F.:   Gennaro   non  voleva  fare  pace,  perche'  il
"Pagliesco" sbaglio' con la bocca nei confronti di Gennaro.
        Mollo N.: Il "Pagliesco"?
        Mollo  F.: Disse: "no... Incom... Tutti quanti dal primo fino
all'ultimo  non  voglio  sapere  niente  piu' di voi". Disse Gennaro:
"allora  vattene  e  non venire piu'. Stai attento, non venire piu' a
Volla".  Prima  che  lo arrestavano disse vicino a me: "oggi o domani
che dovesse succedere qualcosa, al capo tavolo a Vola ti devi mettere
tu".  Dissi:  "ma  fuori ci state sempre voi". Disse: "Franchitiello,
quello Gennaro gia' sa quello che deve fare. E' un ragazzo... Incom."
...  Disse  Pasquale:  "te l'ho detto, se la vede lui. Gia' sa quello
che deve fare. Solo che esco lunedi', mannaggia la Madonna, se non mi
fanno uscire questi, all'avvocato me lo mangio.
        Mollo  N.: Per non farti sapere nulla vuol dire che sta tutto
apposto.
        Mollo F.: Incom.
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 12).
    La  presenza di Rea Francesco all'interno del sodalizio criminale
assicura  all'intero  clan  il controllo del territorio nel triangolo
compreso  tra  le  localita'  di  Casalnuovo, Casarea e Volla. Mentre
dunque   Mollo   Francesco   e   Manna   Pasquale   controllano  piu'
direttamente,  anche in considerazione del luogo della loro effettiva
dimora,  l'area  del  comune di Volla, Rea Francesco, in virtu' degli
accordi   presi   direttamente   con  Veneruso  Gennaro  all'indomani
dell'uccisione  di  Egizio e' da sempre il capo indiscusso della zona
sopra  indicata.  La  necessita'  per  il clan"Veneruso" di mantenere
salda  l'amicizia  con  Rea  Francesco  al  punto  tale  da  fare  di
quest'ultimo   un  vero  e  proprio  vertice  dell'organizzazione  si
apprezza  in tutta la sua importanza sol che si pensi che, come si e'
gia'  detto,  il  clan "Piscopo", facente capo alla figura di Piscopo
Pino, detto "metronotte", opera nella medesima area di Casalnuovo, in
contrapposizione al Rea.
    Dunque,  per un verso e' Rea Francesco che, contando sulla solida
e   complessa  organizzazione  criminale  del  clan  "Veneruso"  puo'
adeguatamente   contrastare   le   mire   espansionistiche  del  clan
"Piscopo";  per altro verso unica possibilita' per il clan "Veneruso"
di  far  valere  la  propria  forza  anche nell'area di Casalnuovo e'
l'alleanza con lo stesso Rea Francesco.
    ... omissis ...
        Mollo  F.:  Compa'  Peppe a Casarea mi chiama, dice: "Alfredo
comunque  non  devi fare niente piu' e se fai qualcosa, per domani te
ne faccio andare ad abitare da Casarea a te e tutta la famiglia tua e
mi prendo pure la casa". Lui disse: "Peppiniello se mi merito questo,
fatemelo.  Cosa  volete  da  me".  Ma  poi come lo dice il "pollasto"
rideva  e  Alfredo  lo guardava. Io poi mi mantenevo, perche' gia' lo
so.  "O  pullasto"  disse: "no zi' Alfredo, io sto ridendo perche' la
cosa  fa  ridere,  perche'  voi  sareste l'uomo. "`O pullasto" subito
giro' la pezza. Voi siete l'uomo di essere chiuso dentro casa? Disse:
"si,  hai  capito  bene".  Compa' Peppe, compa' Peppino, il figlio di
Giovannone. Mi disse: "io te ne faccio andare da Casarea a te e tutta
la  tua famiglia tua e mi prendo pure la casa". Lui disse: "io sto da
65 anni a Casarea".
        Mollo N.: Ma questo Peppe e' compagno con voi?
        Mollo F.: Si.
        Mollo N.: E perche' lo uccisero.
        Mollo  F.:  Stava nei casini. Dammi una sigaretta. Questo qua
di Casalnuovo il "metronotte", il nemico del "pagliesco".
        Mollo N.: E ora e' morto questo "metronotte"?
        Mollo F.: No, sta in galera.
        Mollo  N: ll nemico del "pagliesco" e'? E tu dici che comanda
solo lui a Casalnuovo? Comanda lui o il "pagliesco"?
        Mollo F.: Cosa?
        Mollo  N.:  Tu dici che quello disse che a Casalnuovo comanda
lui.
        Mollo F.: A Tavernanova.
        Mollo N.: Pasquale, non comanda niente a Tavernanova.
    ... omissis ...
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 43).
    All'interno  del  sodalizio,  poi,  particolarmente  forte  e  il
vincolo  che  lega  Rea  e Mollo. Si e' gia' detto come i due siano i
responsabili  del  duplice  omicidio Fico-Porricelli, in relazione al
quale  sono  stati  entrambi  gia'  colpiti  da ordinanza di custodia
cautelare  in  carcere,  il  primo quale mandante ed il secondo quale
autore  materiale;  i  predetti risultano anche essere gli autori, in
concorso con il Manna, dell'omicidio di Fucile Francesco.
    In    particolare   nel   corso   delle   conversazioni   oggetto
d'intercettazione ambientale, in piu' occasioni, Mollo rimarca che e'
stato  lui l'unico a dare effettiva e concreta "soddisfazione" a Rea,
allorche',  uccidendo  i  coniugi Fico-Porricelli, vendico' lo stesso
Rea.
    ... omissis ...
        Mollo  F.: Il "Pagliesco" voleva la soddisfazione da Pasquale
e  Pasquale  non gliela volle dare. Gliela diedi io la soddisfazione,
il "Pagliesco" lo sai che disse vicino a me, piangeva con le lacrime,
disse:  "Franchitiello,  qualsiasi  momento  ti  trovi  nei problemi,
succedesse  qualcosa,  vieni  da  me, io 2 - 3 milioni al mese non mi
mancano mai, perche' io do i soldi con l'interesse, ti faccio campare
pure a te. Il "Pagliesco" mi vuole bene a me, schifa a tutti quanti a
Volla,  mi  vuole  bene  solo a me, perche' la soddisfazione gliel'ho
data io.
        Manna A.: Ma ora sta dentro per duplice omicidio?
        Mollo F.: Si.
        Manna A.: E chi se lo ha cantato.
        Mollo F.: No, il fatto dell'estorsione.
        Manna A.: E tu hai detto come, per duplice omicidio, il fatto
di Casalnuovo?... lncom.
        Mollo F.: Il fatto dell'estorsione dell'attico la'.
        Manna A.: Incom.
        Mollo  F.:  No,  non  si  puo'  fidare  di nessun ragazzo. Il
"Paliesco"  lo sa, a Volla solo io lo faccio il reato e nessuno piu',
il  resto  sono  tutti  rincoglioniti,  si  vogliono  prendere solo i
meriti. Lo sa bene il "Pagliesco".
        Manna  A.:  Ma  con Gennaro (Gennaro Veneruso, n.d.c.) non e'
riuscito a fare pace "o `Pagliesco"?
        Mollo F.: Ragazzo "o `Pagliesco" e' il numero uno.
        Manna A.: Si, sono convinto.
        Mollo  F.:  Io  e  il  "Pagliesco"  ci  prendevamo  tutta  la
Campania.
    ... omissis ...
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 9).
    Significativo  al  fine di comprendere il ruolo apicale di Rea e'
che  lo  stesso  Mollo, nell'esaltare le proprie capacita' criminali,
pone  in evidenza con i suoi interlocutori le "doti" di Rea, che egli
considera  pari  a se stesso, se non ad un livello superiore sotto il
profilo delle abilita' delinquenziali.
    ... omissis ...
        Mollo  F.:  "Pulla'"  uno,  perche'  uno  non  vuole parlare,
perche' se parliamo andiamo a finire a mille e una notte. "Pulla" qua
giu'  a  Volla  a me e a Franchitiello "o' Pagliesco" (Rea Francesco,
n.d.c.) ci devono fare il bocchino, il bocchino veramente.
        Antonio: Si, ma chi lo deve sapere lo sa.
        Mollo  F.:  Poi,  tutto  il  resto, che si mettono il vestito
addosso  e comando, ditegli che ci vengono a fare il bocchino. Io, se
mi scoccio e quello esce, no.
        Salvatore: Ma quello chi lo deve sapere lo sa.
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 45).
    In   particolare   e'   lo  stesso  Mollo  a  sottolineare  come,
all'interno  del  clan, a parte lui stesso, unica persona ad avere il
coraggio  e l'abilita' necessaria per un utilizzo proficuo delle armi
sia proprio il "pagliesco", vale a dire Rea Francesco; tanto che, nel
periodo  in  cui  Rea  e'  sottoposto a regime detentivo carcerario e
Mollo  a quello domiciliare, l'intero clan incontra serie difficolta'
nel  risolvere con il fuoco delle armi l'opposizione di coloro che si
dimostrano riottosi al riconoscimento dell'egemonia del clan.
    ... omissis ...
        Mollo  F.:  Pasquale ha detto: "ci ho tolto la roba di mano a
Demetrio,  perche'  non ci trovavamo con i conti. Ci trovavamo con 10
-15 milioni al mese mancanti e se li rubava Demetrio".
        Manna A.: E perche' non lo spara?
        Mollo  F.:  Perche'  non  lo  spara?  Perche'  non  tiene  il
coraggio,  perche'  sto agli arresti domiciliari. Se stavo fuori gia'
lo  avrei  sparato,  hai  capito  o  no.  Perche'  il  Pagliesco (Rea
Francesco,   n.d.c.)   non   c'e'  e  perche'  io  sto  agli  arresti
domiciliari.  "Cafone",  Pasquale  non  e'  all'altezza  di sparare e
neanche Gennaro.
        Manna A.: E come stanno in mezzo alla strada?
        Mollo F.: Perche' ci devono stare.
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 9).
    L'ascolto    delle    conversazioni   oggetto   d'intercettazione
ambientale  fa emergere che Rea Francesco ha avuto un ruolo attivo di
prioritaria importanza nell'organizzazione dell'opera di penetrazione
e  di affermazione del clan "Veneruso" nell'area del comune di Volla.
In  particolare Mollo evidenzia come "a risolvere i problemi a Volla"
siano stati lui ed il "Pagliesco".
    ... omissis ...
        Mollo  F.: Gennaro, ma a me la cosa che mi fa male di piu' lo
sai  qual'e',  Gennaro  lo sai qual e' la cosa che a me mi fa male di
piu',  perche' io ho fatto i sacrifici per Volla. Agostino e Renato e
chi  sta  presente,  Renato  qualcosa  lo sa. Io ho fatto i sacrifici
veramente  per  Volla. Gennaro, io mi sono privato della vita privata
mia, io mi sono messo giu' in cantina, io e Francuccio (Rea Francesco
n.d.c.),  a  settimane intere ci siamo mangiato pane e mortatella per
risolvere  i problemi a Volla e adesso non puo' venire il primo scemo
qualsiasi  e  mi rompe il cazzo, e mi rompe le uova nel piatto, pero'
io sto qua, ho le mani legate. Cosa devo fare?
    ... omissis ...
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 33).
    Com'e'  agevole  rilevare  all'omicidio  Fico/Porricelli  ed alla
responsabilita'  del  Mollo  e  del  Rea  in  ordine  a tale episodio
delittuoso  e'  riconosciuto  il  massimo  rilievo sia in ordine alla
sussistenza  dell'associazione  sia in ordine alla partecipazione del
Rea  alla  stessa  e  comunque  in  proposito  non vengono utilizzati
elementi    diversi   da   quelli   provenienti   dall'attivita'   di
intercettazione  eseguita nell'abitazione del Mollo ed a disposizione
del p.m. gia' dall'aprile del 1998.
    Ad  identica  conclusione  deve  pervenirsi  anche  per  cio' che
concerne  l'omicidio  Fucile  relativamente al quale va osservato che
esso  e' addirittura antecedente a quello Fico/Porricelli - cosicche'
erroneo  si  rileva  il  rilievo  del  g.i.p. quanto alla successione
temporale  dei  due  fatti delittuosi - e che gli elementi indizianti
nei  confronti  del  Mollo,  del  Rea  e  del  Manna  emergono da una
intercettazione  ambientale  successiva  di  pochi  giorni  a  quella
concernente  l'omicidio  Fico/Porricelli.  Relativamente all'omicidio
del   Fucile,  invero,  cosi'  scrive  il  p.m.  nella  richiesta  di
applicazione della misura cautelare:
    II.b.1.B Omicidio Fucile Francesco.
    L'ascolto  delle  conversazioni  oggetto  di  intercettazione  ha
consentito di individuare con assoluta certezza mandanti ed esecutori
materiali   dell'agguato  di  camorra  nel  quale  fu  ucciso  Fucile
Francesco,   soprannominato   "Ciccio   `a   lupara".  Le  risultanze
investigative  che all'epoca dei fatti non consentivano di ipotizzare
un esito fruttuoso dell'esercizio dell'azione penale acquistano nuovo
vigore   probatorio  alla  luce  del  dialogo  intercorso  tra  Mollo
Francesco  e Gennaro Napoli il 22 febbraio 1998. In tale circostanza,
infatti,  Mollo  riferisce  al  compagno  nei  minimi  particolari la
dinamica  dei fatti e le modalita' con cui egli stesso, con l'ausilio
di Manna Pasquale e di Rea Francesco, ha ammazzato Fucile Francesco.
    Per  potere  valutare  con piena cognizione la valenza probatorio
del  racconto  di Mollo, si ritiene opportuno riportare le risultanze
investigative delle indagini condotte nell'immediatezza dell'omicidio
dal  Comm.to P.S. di Ponticelli e dai CC della Compagnia di Torre del
Greco.   Gli   operanti,  in  data  17 gennaio  1997,  a  seguito  di
segnalazione  anonima,  si  recavano  in  Volla alla via Ovidio n. 7,
presso  l'officina  meccanica gestita da tale Raiola Vincenzo. Giunti
sul  posto  constatavano  che  all'interno del locale, e precisamente
dentro  il  retrobottega,  vi  era  il  cadavere di Fucile Francesco,
riverso  a terra con il viso verso il pavimento. Questi si presentava
con  numerose  ferite  da  colpi  d'arma da fuoco dai quali era stato
attinto  e,  particolare  di  rilevante  importanza,  con  il  cranio
completamente dilaniato (i rilievi fotografici eseguiti sul luogo del
delitto   dal   personale   della   Polizia  evidenziano  proprio  lo
sfondamento  e  lo  scoperchiamento della calotta cranica). Contro il
Fucile  era  stato esploso un numero elevato di colpi, come si evince
dai  molteplici  fori  di  entrata  presenti  in  distinte  parti del
cadavere  del  Fucile,  dal  fatto  che  lo  stesso  aveva  il  volto
completamente  sfigurato  e dal rinvenimento, in sede di sopralluogo,
di bossoli, alcuni calibro 9 e alcuni calibro 12, appartenenti dunque
a distinte armi utilizzate evidentemente per commettere il delitto.
    Il titolare dell'officina meccanica, Raiola Vincenzo, pur essendo
ivi  presente  al  momento  dell'agguato,  dichiaro' di non essere in
grado  di  fornire agli inquirenti alcun particolare significativo al
fine  di individuare gli autori del fatto, poiche' egli era intento a
riparare  l'autovettura di Fucile Francesco e allorche' udi' le prime
detonazioni si rifugio' sotto lo stesso veicolo con gli occhi chiusi.
In  effetti  il  Raiola  si  limito' a riferire che la sparatoria era
durata  pochi  secondi,  che  tuttavia  aveva sentito esplodere molti
colpi  e che, alla luce della propria esperienza di meccanico, l'auto
a bordo della quale erano arrivati i killer doveva essere, in ragione
del rumore del motore, di grossa cilindrata.
    ... omissis ...
    A.d.r.  quest'oggi  mentre  ero  intento a riparare l'autovettura
Fiat  Uno  turbo  di  colore  verde  metallizzato  di  proprieta'  di
Francesco  Fucile un mio cliente soprannominato "Ciccio a lupara", ho
sentito   il  rumore  di  un'autovettura  che  ha  frenato  di  colpo
all'altezza  dell'officina  e subito dopo ho visto il Fucile scappare
verso  l'interno  dell'officina  e  contestualmente ho udito numerose
detonazioni.
    A.d.r.  Voglio precisare meglio la posizione in cui mi trovavo al
momento  del  fatto:  ero  sdraiato  sul fianco sinistro e mi trovavo
sotto il motore dell'auto del Fucile che a sua volta era parcheggiata
perpendicolarmente   all'ingresso   dell'autofficina   con  la  parte
anteriore  rivolta  verso il vicolo senza uscita. Non appena ho udito
la prima detonazione ho chiuso gli occhi e mi sono rannicchiato sotto
l'auto  e  li  sono  rimasto  fino  a  che ho sentito uno stridere di
pneumatici  ed  ho  capito  che  la  autovettura  con  la  quale  gli
attentatori che erano giunti sul posto se ne erano andati.
    A.d.r.  Non sono in grado ne' di dire il tipo dell'auto ne quante
persone  facevano  parte  del  commando.  Per  la  mia  esperienza di
meccanico  ritengo  si trattasse di un'auto di grossa cilindrata. Non
so nemmeno il punto esatto in cui il Fucile e' stato finito in quanto
non ho avuto il coraggio di entrare nel retro dell'officina.
    A.d.r.  Appena  l'auto  si  e'  allontanata  sono  rimasto ancora
qualche  secondo  sotto  l'auto  e quanto ne sono uscito ho visto mio
padre che uditi i colpi si era precipitato dalla sua abitazione posta
al  piano  superiore  a  quello dell'officina. Subito si e' fatta una
folla  di  curiosi  e mio padre ha gridato di chiamare la Polizia o i
carabinieri. Non so dirvi chi l'abbia materialmente fatto.
    A.d.r.  Non  so dirvi il numero esatto delle detonazioni ma posso
dirvi  che  le  stesse  sono  state  numerose  e  molto  rumorose. La
sparatoria e' durata pochi secondi ma molti intensi.
    A.d.r. Sono titolare dell'officina meccanica ove si e' verificato
il  fatto  alla  via  Ovidio n. 17 in Volla (Napoli) da circa quattro
anni.  Il  Fucile  era mio cliente da circa due anni; l'auto Fiat Uno
che  stavo riparando, il Fucile l'aveva portata in officina circa due
giorni  fa.  Oggi il Fucile era venuto presso la mia officina a bordo
di  una  Fiat  Uno  di  colore bianco per sapere a che punto fosse la
riparazione.  Dopo  circa  dieci  minuti  si  e' verificato l'agguato
mortale.
    (cfr.  verbale  di  s.i.t.  rese da Raiola Vincenzo il 17 gennaio
1997 presso il Comm.to di Ponticelli).
    Nel  corso  di successivi sopralluoghi, in via Lufrano del comune
di  Volla,  in  una  zona  di  campagna  nei pressi di un cavalcavia,
nascosta  da  cumuli  di  terra,  veniva  rinvenuta  una  Fiat Croma,
contraddistinta     da    telaio    avente    n. ZFAl54000*00430941*,
completamente   bruciata,   all'interno  della  stessa  venivano  poi
rinvenuti,   interamente  carbonizzati,  un  fucile  calibro  12,  un
revolver calibro 38 e una pistola semiautomatico calibro 9 x 21.
    Tutti  questi  particolari vengono fedelmente riferiti da Mollo a
Napoli   Gennaro   nel   corso   della   conversazioni   oggetto   di
intercettazione  ambientale  che  si  e'  sopra  richiamata  e il cui
contenuto viene di seguito riportato:
    ... omissis ...
        Mollo F.: Incom... Stava cosi' fuori alla prima porta.
        Napoli G.: Vi vide?
        Mollo F.: No.
        Napoli G.: Lui.
        Mollo F.: Come scendi giu' al vicolo.
        Napoli G.: Si, si.
        Mollo F.: Perche' io mi nascosi... Incom... Io mi nascosi la'
dietro. Quando arrivo' Antonio "o' scacatiello", Pasquale fece cosi',
sta  la...  Incom...  Scendo,  cosi'  tre,  quattro  botte. Come giro
l'angolo  lui  stava  fori  alla porta, stava cosi' fuori alla porta,
cosi'. Come mi vide a me, si giro' cosi', il tempo che si girava bum,
bum,  e scappo' verso dentro. Fece cosi' e scappo verso dentro. Andai
dentro  e feci cosi' bum, bum, bum. Si giro' e fece cosi': "Ahh"! Poi
l'ultima  botta  qua.  Ando' con la testa nel muro, feci bum e salto'
cosi' verso dietro. Si giro' cosi' verso dietro e ando' con la faccia
per  terra.  Aveva  la testa... Incom... Dissi al ragazzo: "vai sotto
alla  macchina, non ti muovere da qua... Incom. Poi lui venne dentro,
dissi  io:  "sta  qua  a terra". Prese lui e lo spalummo' (spappolo',
n.d.c.)  la  testa.  Stessa la botta, si giro' all'incontrario. Cadde
con  la  faccia  per  terra:  bum, bum, bum. Cosi' dietro alla testa.
Gennaro, la testa non la teneva piu'.
        Napoli G.: E il ragazzo del meccanico ti rispetta?
        Mollo  F.: Si, il meccanico rimase sotto alla macchina non lo
feci uscire... Incom.
        Napoli G.: No, tu lo sai a quello.
        Mollo  F.:  Non  lo  abbiamo voluto fare, quello ando' dentro
alla paura, figurati.
        Napoli  G.:  No,  perche'  succede non hai capito? Dico tu lo
sapevi pure a quello.
        Mollo F.: Si.
        Napoli G.: Comunque.
        Mollo F.: lntanto non me lo aspettavo, lo sai?
        Napoli G.: Il Pagliesco?
        Mollo F.: Si "o' Pagliesco" ... Incom... Sopra alla macchina.
        Napoli  G.:  Io  lo  sapevo  il  fatto  del "Pagliesco" ma no
adesso, quando tu me lo presentasti.
        Mollo F.: Si.
        Napoli G.: Ah! Franchitiello, io lo conoscevo di nome e me lo
hanno  detto  una  volta.  Quando  lo  vidi,  io rimasi cosi', dissi:
"mannaggia la Madonna, questo e quello la' che so io, perche' Casarea
me  ne  ha  sempre  parlato  bene  nel senso che quello e' criminale.
Quello  non  sbaglia  mai" Ora io conosco a te, Franchitie' allora e'
come te. Tu dici: "e io cosa ne so come sono io"? Franchitie' ma.
        Mollo  F.:  Quel  grande  cornuto  non  tenne  la fermezza di
aspettare  dentro  alla macchina, perche' poi lui si fermo' dietro al
vicolo. Quando scesi, scesi cosi', vedi. Come girai l'angolo, perche'
non me lo aspettavo di vederlo la', io me lo aspettavo nell'officina,
dissi:  "io  vado  dentro  dove sta, sta, gli do un paio di botte nel
petto  e cade a terra, poi mi prendo la macchina e vado a Napoli. Hai
capito  o  no. Come girai l'angolo, quello stava fuori alla porta, si
giro'  di spalle per scappare dentro, feci cosi': bum, bum, due botte
nella  schiena.  Si fece la... Incom... Prese, mi porta il giornale e
fece proprio la descrizione come era successo.
        Napoli G.: Incom.
        Mollo  F.: Armati. Due killer, uno armato di calibro 38 e uno
di  fucile.  Il  primo  gli ha sparato i primi due colpi al petto, al
torace  all'entrata  che  poi non erano al petto, quelli erano dietro
alla schiena e uscirono davanti.
        Napoli G.: E uscirono davanti vedi tu.
        Mollo  F.:  Due  colpi qua. E scrissero poi: "il killer lo ha
inseguito  e  l'altro con il fucile lo ha finito". Gennaro, gli diedi
le prime due botte nelle spalle, si giro' e scappo' dentro, pero' non
ebbe  nessun... lncom... Poi lo incastrammo sotto al... Incom... Dove
sta  il bagno io cosi' qua dietro. Dentro: bum, bum, bum, dietro alla
schiena.  Quel cornuto non mori' subito, mori' l'ultima botta. Prese,
si  giro' e fece: "ahh! Incom... Feci bam, salto' proprio da terra...
Incom...  Dissi:  "questo  grande  cornuto" Ora lui stava dentro alla
macchina,  me  lo  vidi dietro di me, disse: "dove sta questo sporco,
dove sta questo sporco".
        Napoli G.: Incom.
        Mollo F.: Si, gia' se ne parlava.
        Napoli G.: Si.
        Mollo F.: Quando scendemmo.
        Napoli G.: Tutti e due insieme, ho capito.
        Mollo F.: Lo sai il bar Perrella?
        Napoli G.: Come giraste cosi'.
        Mollo F.: Io stavo abbassato sopra al sediolino e lui portava
la macchina normale. Quando arrivammo fuori al bar Perrella, Pasquale
fece  da dentro alla macchina cosi', tutto apposto. Lui disse: "vai",
e si abbasso' il coso. Io dentro alla macchina mi abbassai il coso in
faccia  e  scesi. Quel grande cornuto venne dietro a me, disse: "dove
sta  questo  sporco"  Dissi  io:  "eccolo". Intanto si era fatto gia'
tardi..  Incom... Si spalumbo' (spappolo', n.d.c.) tutta la faccia...
Incom... Si giro' all'incontrario. Feci cosi' dietro alla testa: bum,
bum,  bum. La testa non la teneva piu. Andiamo avanti, andiamo disse.
Prese la macchina... Incom..
    Comunque  saliamo  in  macchina  ... Incom ... E lui stava sempre
abbassato  ...  Incom  ... Fuori alla salita schiattammo la ruota nel
fosso e la macchina incomincio a fare cosi': tom, tom, con il cerchio
a  terra.  Dissi io: "Francu' (Rea Francesco, n.d.c.) abbandoniamo la
macchina  e  togliamo la macchina dalle mani di qualcuno". Disse lui:
"dove  la  abbandoniamo".  Dissi:  "non preoccuparti". Disse: "prendi
quell'altra  cosa  e  mettila  a  portata di mano". Io gia' la tenevo
nelle mani. Ora il 38 era scarico e mi misi la 9 nelle mani ... Incom
...  Quello  avanti  che  ci  stava  portando.  Dovevamo accendere la
macchina  ...  Incom ... La macchina: tun, tun, un macello per dietro
al mercato: piano, piano. Ora, ogni tanto io mi ingrippavo perche' di
tempo  ne  avevamo  perso  assai, dissi: "qua se riescono a venire le
guardie". Ogni tanto mi alzavo con la testa e faceva lui: "abbassati,
abbassati".  Dissi:  "ma  vedi  cosa  si passa per andare avanti?" Mi
scappo'  una  risata,  Gennaro. Questo fatto e' rimasto nella storia.
Dissi:  "ma vedi cosa si passa per andare avanti, tu prendi a quello,
corrici  dietro".  Si schiatta la ruota, vai piano, piano. Prendi la'
mannaggia la Madonna. Gennaro, incendiammo la macchina sotto ai ponti
dove sta quella masseria.
        Napoli G.: Si.
        Mollo F.: Incom ... Perche' quello incendio' la macchina.
    Parlano tra loro.: Incomprensibile.
        Mollo F.: Hai capito cosa si passa.
        Napoli G.: Il tempo di ucciderlo e poi.
        Mollo F.: Perche' alla macchina si schiatto' la ruota.
        Napoli G.: Si schiatto' la ruota, allora.
        Mollo  F.:  Incom  ...  Cioe'  tu hai fatto questo macello di
questa maniera, tutto questo bordello per fare che cosa, per campare.
Cioe',  perche'  uno non e', per esempio, va bene io guadagno 50, 100
milioni al mese. Gennaro, tutto il blocco campiamo, tu capisci.
        Napoli  G.:  Si,  si  capisce,  ve  bene, pero' la' c'era una
questione, che quello.
        Mollo F.: Ma la' era una cosa di principio.
    (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 41).
    A  ben  vedere  la dovizia e la precisione dei particolari, anche
minimi,   riferiti   da  Mollo,  un  evidente  autocompiacimento  per
l'impresa  realizzare,  l'esatta  individuazione  dei  ruoli avuto da
ciascuno dei complici nel portare a termine l'agguato, le ragioni per
le  quali  l'autovettura  fu abbandonata non lontano dal luogo teatro
degli  eventi  consentono  gia'  di per se' di escludere che Mollo si
attribuisca la paternita' di azioni da altri compiute.
    In  primo luogo Mollo racconta di avere effettivamente utilizzato
un'arma  calibro  38  e  un'altra  arma  calibro 9 (... Ora il 38 era
scarico e mi misi la 9 nelle mani ...) e a sparare furono due persone
due,  lui  e Rea Francesco (indicato nel corso del dialogo ora con il
nome  di  Francuccio  ora  con  il  soprannome  "O'  Pagliesco"),  in
particolare  i  primi  colpi  furono  esplosi da Mollo, il quale dopo
avere colpito con due colpi Fucile alle spalle (si badi che sul punto
Mollo fa notare al suo interlocutore l'inesattezza in cui sono caduti
i  giornalisti), insegue la sua vittima che cerca rifugio all'interno
del  bagno,  incastrandolo  in  prossimita' del bagno; a questo punto
interviene anche Rea, il quale sebbene avesse il compito di aspettare
in auto che il suo complice tornasse, non seppe avere "la fermezza di
spettare  dentro  alla  macchina".  Insieme,  Rea  e  Mollo esplodono
all'indirizzo  di  Fucile,  gia'  ferito,  un volume di fuoco tale da
fargli saltare la testa (... lo schiattai la testa, .... ando' con la
testa  nel muro, feci bum e salto' cosi' verso dietro; .... Prese lui
e  lo  spalummo'  la  testa,  ... Gennaro la testa non la teneva piu'
...).   Subito   dopo  l'azione  di  fuoco  i  due  fuggono  a  bordo
dell'autovettura, ma nel corso della fuga forano una gomma e decidono
dunque  di  abbandonare  velocemente  l'autovettura  e di incendiarla
(Fuori  alla  salita  schiattammo  la  ruota  nel fosso e la macchina
faceva  cosi':  tom, tom, con il cerchio a terra. Dissi io: "Francu',
abbandoniamo   la  macchina  dalle  mani  di  qualcuno"....  Gennaro,
incendiammo  la  macchina  sotto  ai ponti dove sta quella masseria).
Mollo  precisa  inoltre  che  il  "via libera" era stato loro dato da
Manna  Pasquale,  il  quale  tuttavia  non avrebbe mai potuto sparare
perche',   essendo   sottoposto  alla  misura  di  prevenzione  della
sorveglianza  speciale,  era  impossibilitato ad allontanarsi ed anzi
era  e  doveva  essere  soggetto  ai  controlli  da parte delle forze
dell'ordine  (...  ho  detto: "Pasquale, dimmi dove lo devo prendere"
dissi: "vattene a casa che ti vengono a prendere a te, me la vedo io,
mi  allontano io quattro cinque giorni" .... Pasquale fece cosi': sta
la' ... Scendo cosi' tre quattro botte).
    Il valore probatorio di questa conversazione, la quale e' gia' di
per  se'  eloquente,  trova ulteriore momento di riscontro, oltre che
nelle  risultanze  oggettive  dei  reperti  rinvenuti  nel  corso del
sopralluogo,  anche  nelle  sommarie  informazioni testimoniali rese,
nell'immediatezza   dell'accaduto,   dalla   convivente   di   Fucile
Francesco,  Scarpato  Rosa.  Quest'ultima,  a proposito dei possibili
autori  dell'agguato  mortale,  indirizzava  i  propri  sospetti  nei
confronti  degli uomini del clan "Veneruso" e piu' in particolare nei
confronti proprio di Manna Pasquale, Mollo Francesco, Rea Francesco e
Antonio  Maione.  Secondo  la ricostruzione fornita dalla donna tra i
vertici  del  clan "Veneruso" e Fucile Francesco, anch'egli affiliato
allo   stesso   sodalizio,  erano  sorti  dei  contrasti  in  seguito
all'omicidio   di  Romano  Francesco,  soprannominato  "Franchino  di
Casarea",  poiche'  Fucile  era  ritenuto  dai  suoi  stessi compagni
l'autore di tale delitto. Queste ragioni di attrito avevano raggiunto
uno  spessore  tale  che,  secondo  quanto riferito da Scarpato Rosa,
Fucile   Francesco   si  era  munito  di  una  autovettura  blindata.
Significativo, al fine di comprendere la portata della frattura sorta
all'interno  del  gruppo,  e'  il  particolare  che  dopo  pochi mesi
dall'uccisione  di Romano Francesco, Fucile viene ristretto presso la
Casa  di  Lavoro  di  Sulmona, ove vi rimane per circa dieci mesi: in
tale  arco  di  tempo vengono uccisi, entrambi in agguato di camorra,
due  intimi  amici  di Fucili, Biondelli Rodolfo (piu' volte indicato
nel   corso   delle  conversazioni  oggetto  di  intercettazioni  con
aggettivi   spregiativi)  e  Esposito  Giovanni,  soprannominato  "'O
bumbularo".  Nei  tre  mesi  che intercorrono tra la scarcerazione di
Fucile  e  l'uccisione  dello  stesso,  Fucile  Francesco ha contatti
quanto mai tesi con Manna Pasquale e Mollo Francesco e si avvicina al
clan  "Sarno"  operante  nella zona di Ponticelli (in particolare, il
21 novembre  1996  Fucile Francesco viene fermato per un controllo da
parte  della  Polizia  di  Stato  del  Comm.to  di Ponticelli, che lo
sorprende  in  compagnia  di Esposito Salvatore, fratello di Esposito
Giovanni di cui si e' sopra detto, nonche' di due esponenti di spicco
del  clan  "Sarno",  Sarno  Vincenzo e Sarno Giuseppe. Scarpato Rosa,
riferisce  inoltre  dei  forti  timori  per  la  propria  incolumita'
avvertiti da Fucile, in occasione di un incontro "chiarificatore" che
egli  ebbe  con  Manna  Pasquale  e  Mollo Francesco presso la stessa
officina  meccanica,  all'interno  della  quale  e' stato poi ucciso,
incontro  al  quale  Fucile si presento' armato di una pistola che si
era  preoccupato  di far notare ai due. In particolare Scarpato cosi'
riferisce:
    ... omissis...
        D. Ha sospetti sugli autori dell'omicidio?
        R.  Posso  dire  che  i  miei sospetti si incentrano sul clan
criminale  operante  su Volla e precisamente su Manna Pasquale, Mollo
Francesco,   Rea   Francesco  detto  "O'  Pagliesco"  che  so  essere
originario  di  Casalnuovo  di  circa  32-33 anni, di statura bassa e
pelato, inoltre Maione Antonio, soprannominato "Tonino di Casarea".
        D. Da cosa scaturiscono i suoi sospetti?
        R.  I miei sospetti nascono dal fatto che il Fucile prima che
fosse  mandato  alla  casa  di  lavoro  circa  un  anno fa sapevo che
svolgeva  attivita'  criminali  insieme proprio al clan di Volla. Con
questi  faceva estorsioni ed altri reati sempre in Volla. I contrasti
tra  di  loro  sono  nati successivamente all'omicidio di tale Romano
Francesco  soprannominato  "Franchino  di Casarea" in quanto i citati
ritenevano che l'autore dell'omicidio fosse stato tra gli altri anche
il  Fucile  Francesco.  A  seguito  di  questo  episodio, ricordo che
Francesco,    temendo    per   la   propria   incolumita'   acquisto'
un'autovettura  Volkswagen  Scirocco di colore nero blindata e spesso
camminava  armato. Dopo circa due-tre mesi Francesco e' stato portato
alla  casa  di lavoro di Sulmona ove e' rimasto per circa dieci mesi.
In  questo  frangente  di  tempo  e'  stato ucciso Biondelli Rodolfo,
intimo  amico del Fucile ed inoltre ultimamente Esposito Giovanni "'O
Bumbular".  Da quando e' uscito dalla casa di lavoro e' cioe' a circa
tre mesi Francesco riceveva delle strane telefonate sul suo cellulare
senza che nessuno parlasse.
    Circa  un mese fa invece e' arrivata una telefonata sul cellulare
e  l'interlocutore  era  Manna Pasquale il quale ha avuto un diverbio
telefonico  a conclusione del quale ho sentito Francesco dire "Io non
voglio  sapere  piu' niente a questo punto ognuno si fa le cose sue".
In   questa  stessa  telefonata  il  Manna  ha  chiesto  un  incontro
chiarificatore  con  Fucile ma il Fucile non volle andarci per paura.
Dopo  due  tre  giorni  a seguito di altra telefonata ricordo' che fu
fissato  un  incontro  che lo stesso Fucile decise di far svolgere in
Volla  alla  via  Lufrano  presso l'officina Riccardi dove egli aveva
lavorato  tempo  addietro. Ricordo che il Fucile ando' armato con una
pistola calibro 9 x 21 che teneva nella cintola dei pantaloni. Voglio
precisare  che l'orario era intorno alle 17 e che mentre ci portavamo
sul  posto  notammo  un'auto civile della Polizia e ci allontanammo a
forte  velocita' per paura di un controllo. Arrivati sul posto subito
dopo  arrivarono  Mollo  Francesco  e  Manna  Pasquale a bordo di una
autovettura  Renault  Clio  di  colore  verde. Giunti sul posto i due
andarono incontro al Fucile e si baciarono e nell'occasione il Manna,
notata  la pistola addosso al Fucile, disse "Cosa te la sei portata a
fare"  e  Francesco  rispose  "Non  la  porta  per  voi".  I  tre  si
allontanarono e si portarono all'interno della ditta Riccardi salendo
una  scala. Sono ritornati dopo circa due ore e il Francesco mi disse
che  era  tutto  a  posto.  La  cosa  pero'  che mi colpi' che mentre
andavamo  via il Fucile si mise la pistola in mezzo alle gambe pronta
all'uso  e io gli dissi "Vuoi vedere che l'incontro era una scusa per
farci  qualche  agguato?  E lui rispondendomi di non essere uno scemo
comincio'  a  guidare  a  tutta  velocita'  cambiando perfino strada.
Successivamente  Francesco mi disse che in questo incontro il Manna e
il  Mollo  gli  avevano  rinfacciato  che si era messo con quelli del
Rione  De  Gasperi  ma  lui  aveva negato dicendomi che si recava sul
Rione  solo per andare a trovare la vedova di Esposito Giovanni morto
ammazzato poco prima.
    Da  allora  per quanto ne sappia non vi sono stati altri contatti
con queste persone fatta eccezione per un incontro avvenuto circa una
settimana fa quando verso le ore 15 mentre eravamo a bordo della Fiat
Uno  verde insieme a mia figlia lui improvvisamente giro' all'interno
dell'ipermercato  "Le Ginestre" in Volla dove sapeva che si riunivano
di solito il Manna e il Mollo ed il Maione. Fuori al negozio trovammo
il  Manna  il  Mollo  e  poco  distante  vi  era il Maione Antonio in
compagnia  di  altre  persone.  Francesco,  sceso dall'auto bacio' il
Mollo e il Manna e con questi entro' all'interno dell'ipermercato. Il
Maione  si allontano' dal posto poco dopo unitamente alle persone che
erano in sua compagnia.
    Il  Fucile  usci'  dopo  circa  mezz'ora  e  salito  in  auto  ci
allontanammo dal posto. Anche in questa occasione, a mia richiesta mi
disse che era tutto a posto.
    Voglio  inoltre aggiungere che l'altro ieri sera, verso le ore 18
mentre  camminavamo  con  l'auto il Fucile ha arrestato l'auto in una
campagna  di  via  Lufrano  ed  ha  cacciato la pistola dalla cintola
esplodendo  quattro  o  cinque colpi. Alla mia richiesta mi disse che
aveva  provato  solo  la  pistola per vedere se si inceppava. Preciso
altresi'  che  non  sapevo  che aveva portato con se l'arma in quella
occasione.
    Voglio  infine  aggiungere che circa due anni fa fu rinvenuto dai
carabinieri  di Volla un'ingente quantitativo di armi in un garage di
Volla  e in quella occasione il Fucile mi disse che le armi erano del
clan al quale apparteneva e cioe' quello dei Veneruso.
    (Cfr,  verbale di s.i.t. rese da Scarpato Rosa in data 17 gennaio
1997 presso il Commissariato P.S. di Ponticelli).
    Le   dichiarazioni   rese   da   Scarpato   Rosa,  allorche',  in
particolare,  riferisce  che  Mollo  e  Manna  avevano rimproverato a
Fucile  di  essersi  alleato  con il clan "Sarno" (che ha la sua base
logistica,  appunto  al  Rione  De  Gasperi del quartiere Ponticelli)
consentono  dunque  di  ricostruire anche il movente dell'omicidio di
Fucile  ad  opera di personaggi appartenenti allo stesso clan cui era
stato  affiliato la stessa vittima. D'altro canto lo stesso Mollo nel
commentare  l'episodio  con  il suo interlocutore conclude asserendo:
"Ma  la' era una cosa di principio" e Gennaro Napoli gli risponde "Ma
poi la ti faceva lui a te".
    Il  movente  dell'omicidio, maturato come si e' detto nell'ambito
del  sistema  di  alleanze tra i clan operanti in zone limitrofe e la
ferocia con cui gli esponenti del clan "Veneruso" hanno voluto punire
il  voltafaccia di Fucile Francesco consente di inquadrare il delitto
nell'ambito  del  programma  associativo portato avanti dal sodalizio
criminale.  E' di chiara comprensione l'importanza che per un clan ha
la  fedelta'  dei  propri  associati  e  la conseguente necessita' di
reprimere  in modo definitivo e al tempo stesso plateale tentativi di
scissione o anche comportamenti autonomistici.
    L'uccisione  di  Fucile  Francesco  ha necessariamente una doppia
valenza  per  l'associazione  criminosa: verso l'esterno perche' agli
occhi  dei cittadini rafforza l'immagine di potenza militare del clan
e ne ribadisce la forza intimidatoria; verso l'interno, perche' serve
a  scoraggiare  che  altri  associati  possano  avanzare  pretese  di
scioglimento dal vincolo associativo, o, ancora peggio, entrare nelle
fila  di  altro  clan  rivale.  Proprio  attraverso la commissione di
simili  delitti un'organizzazione criminosa di stampo camorristico si
assicura  l'assoggettamento  e  l'omerta'  degli  affiliati  e  degli
estranei.".
    Anche  in  questo  caso,  infatti,  sono  stati  utilizzati,  per
integrare  il  quadro  indiziario a carico degli indagati, tra cui il
Rea, esclusivamente il contenuto dell'intercettazione ambientale ed i
riscontri  rinvenibili  nelle  indagini svolte nell' immediatezza del
fatto  oltre  che  le dichiarazioni della Scarpato, pure risalenti al
17 gennaio  1997,  vale  a  dire  tutto  materiale indiziario gia' in
possesso  del  P.M.  prima dell'emissione dell'ordinanza cautelare in
relazione all'omicidio Fico/Porricelli.
    Accertato  cosi' in punto di fatto che tutti gli elementi posti a
fondamento  della richiesta di applicazione della misura in ordine ai
fatti  oggetto  dell'ordinanza  cautelare  del 16 febbraio 2000 erano
gia'  in  possesso  del  P.M.  all'atto  dell'emissione  della  prima
ordinanza  cautelare  relativa all'omicidio Fico/Porricelli, viene in
concreto  rilievo  il  principio  di diritto enunciato dalla Corte di
cassazione  con la sentenza rescindente secondo cui anche in siffatta
ipotesi    e'   necessario,   per   l'applicabilita'   del   disposto
dell'art. 297,  comma 3, C.P.P., accertare la sussistenza del vincolo
di  connessione qualificata di cui all'art. 12, comma 1, lettere b) e
c)  limitatamente  all'ipotesi  di  reati  commessi  per eseguire gli
altri.  Secondo  la  Corte rescindente questa sarebbe infatti l'unica
interpretazione  possibile alla luce dell'inequivoco tenore letterale
e logico della norma.
    Ma   nell'affermare   l'opposto   principio   questo   Tribunale,
nell'ordinanza  annullata, si era uniformato alla consolidata - cosi'
definita  dalla stessa Corte nella sentenza della sez. 4a 14 dicembre
1999,  dep. 22 gennaio 2000, Ascione - giurisprudenza di legittimita'
(Cass.  290/1999  CED  214050;  1835/1999, CED 213500; 3381/1999, CED
212824;  1290/1997  CED  208891; 1719/1996, CED 20589; 4246/1997, CED
208334)  secondo  cui  la  disciplina  di  cui all'art. 297, comma 3,
C.P.P.  e'  applicabile  anche  a  fatti  diversi, in connessione non
qualificata  ai  sensi dell'art. 12, comma 1, lettere b) e c) C.P.P.,
sempre  che di essi si accerti in modo incontestabile la sussistenza,
a  disposizione  dell'autorita'  giudiziaria,  di  idonei  indizi  di
colpevolezza  gia'  al momento dell'emissione del primo provvedimento
cautelare.  Peraltro  la  stessa Corte di cassazione con sentenza del
20 marzo  2001  ha poi dichiarato inammissibile il ricorso presentato
dal Procuratore della Repubblica di Napoli avverso l'ordinanza con la
quale  questo  Tribunale  aveva  dichiarata cessata l'efficacia della
misura cautelare applicata con l'Ordinanza emessa il 16 febbraio 2000
nei  confronti  del Mollo Francesco la cui posizione e' assolutamente
identica  e  sovrapponibile  a  quella  del  Rea.  Invero  il  tenore
letterale dell'originaria formulazione dell'art. 297, comma 3, C.P.P.
("se  nei  confronti  di  un  imputato sono emesse piu' ordinanze che
dispongono   la   medesima  misura  per  uno  stesso  fatto,  benche'
diversamente  circostanziato  o  qualificato, i termini decorrono dal
giorno in cui e' stata eseguita o notificata la prima ordinanza ...")
non  aveva impedito alla giurisprudenza, una volta identificato nella
norma  il  divieto delle cd. contestazioni a catena, di estenderne la
portata anche all'ipotesi di piu' ordinanze concernenti fatti diversi
anteriormente  commessi, legati o meno dal vincolo della connessione,
dal  momento  che  la colpevole inerzia dell'A.G. nella contestazione
dei  fatti  oggetto  della  seconda  ordinanza  non  poteva  incidere
negativamente  sul  diritto  dell'imputato in vinculis ad ottenere la
liberazione allo scadere del termine di custodia fissato dalla legge.
Ne  derivava  che  in  siffatta  ipotesi,  mentre nel caso in cui gli
elementi  necessari  e  sufficienti  per  la  contestazione dei fatti
oggetto  della  seconda  ordinanza fossero gia' in possesso dell'A.G.
prima dell'emissione della prima ordinanza, la decorrenza del termine
doveva  esser  retrodatata  alla data di esecuzione o di notifica del
primo  provvedimento  restrittivo,  invece,  nel  caso  in  cui detti
elementi  fossero  stati  acquisiti  successivamente  a tale momento,
l'identificazione del momento cui retrodatare l'inizio della custodia
per  i  fatti  oggetto  della  seconda ordinanza risultava incerto in
quanto  sostanzialmente  legato alla valutazione del giudice circa la
durata  della  colpevole  inerzia dell'A.G. a procedere alla relativa
contestazione. Di qui - e dunque con esclusivo riferimento al caso di
una  seconda ordinanza in relazione a fatti anteriormente commessi ma
in  relazione  ai  quali  le condizioni di cui all'art. 273 C.P.P. si
fossero  realizzate solo dopo l'emissione della prima - la necessita'
di  un  intervento  del  legislatore, attuato con l'art. 12, comma 1,
della   legge   n. 332/1995  che  ha  sostituito  l'originario  testo
dell'art. 297,  comma 3,  introducendo da un lato il limite oggettivo
della  connessione  qualificata  ex art. 12, lettere b) e c), e della
desumibilita'  dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il
fatto  con  il  quale  sussiste connessione e individuando, anche per
tale  ipotesi,  il  momento  di decorrenza del termine di custodia in
quello   dell'esecuzione   o   notificazione  della  prima  ordinanza
cautelare.  Cosi'  introducendo, per tali ipotesi, una disciplina del
computo  dei  termini  di  custodia  che,  sottoposta  al  vaglio  di
costituzionalita'  -  proprio  con  riferimento all'ipotesi in cui la
notizia dei fatti oggetto del successivo provvedimento coercitivo non
risultasse  dagli  atti  all'epoca  del  primo intervento cautelare e
nella  parte  in  cui esclude qualsiasi rilevanza della tempestivita'
della nuova contestazione agli effetti della decorrenza dei termini -
e'   stata   ritenuta   perfettamente   legittima,  avendo  la  Corte
costituzionale,   con   la  sentenza  n. 89/1996,  ritenuto  che  "la
disposizione impugnata sfugge a qualsiasi censura di irragionevolezza
sia  perche'  il valore che la stessa ha inteso preservare non lascia
spazio  a  disuguaglianze  arbitrarie,  sia perche' il legislatore ha
ricondotto  il  sistema  all'interno  di  un  alveo contrassegnato da
garanzie di obiettivita' e dunque di effettivo rispetto del principio
di eguaglianza" "posto che e' la stessa Costituzione (art. 13, quinto
comma)  ad imporre la previsione di termini di durata delle misure ed
a  presupporre  l'inconferenza delle esigenze che dovessero residuare
al di la' di un limite temporale certo ed invalicabile".
    Orbene  l'applicazione  del  principio di diritto enunciato dalla
sentenza  rescindente  della Corte di cassazione - che limita ai soli
casi   di   reati  legati  dal  vincolo  di  connessione  qualificata
l'applicabilita'  della disciplina dell'art. 297, comma 3, C.P.P. pur
nell'ipotesi  che  anche  per  essi  l'A.G. disponesse degli elementi
necessari  e  sufficienti per procedere alla contestazione gia' prima
dell'emissione  del primo provvedimento restrittivo - impone a questo
giudice  di rinvio, obbligato a rispettarlo, un'interpretazione della
norma  in  contrasto  con  il dettato costituzionale (art. 13, quinto
comma,  della  Costituzione)  che  riserva  alla  legge la durata dei
termini  di  custodia,  giacche'  lascerebbe arbitro il p.m., gia' in
possesso  degli  elementi sufficienti alla contestazione di reati non
legati  da  connessione  qualificata  con  quello oggetto della prima
ordinanza, di procrastinarne la contestazione cosi' prolungando a sua
discrezione  il termine, certo ed invalicabile, di custodia stabilito
dalla  legge  (come e' avvenuto nel caso di specie in cui l'ordinanza
cautelare per il reato associativo e per l'altro episodio omicidiario
- in relazione ai quali si e' accertato incontestabilmente che l'A.G.
era  in  possesso degli elementi necessari ad integrare le condizioni
di  cui  all'art. 273  C.P.P.  gia'  prima  dell'emissione  del primo
provvedimento cautelare - e' stata emessa un anno e quattro mesi dopo
la prima ordinanza relativa all'omicidio Fico/Porricelli).
    Ne  consegue  che  l'unico  rimedio  consentito  in questa sede -
secondo  l'insegnamento della stessa Corte costituzionale (cfr. sent.
18 febbraio  1998,  n. 16 e ord. n. 11/1999 del 21 gennaio 1999) - e'
sollevare  la  questione  di costituzionalita' della norma risultante
dall'interpretazione  fattane  con  il principio di diritto enunciato
dalla  Corte  di  cassazione,  dovendo  detta  norma  ricevere ancora
applicazione nel giudizio rescissorio e non potendo questo giudice di
rinvio  altrimenti  sottrarsi  alla regola juris additata dalla Corte
suprema.
    Siffatta   questione   di   costituzionalita'  e'  non  solo  non
manifestamente  infondata  per  i  motivi  innanzi  esposti  ma anche
rilevante  ai fini della decisione dell'appello proposto dalla difesa
del  Rea  posto  che la giurisprudenza di legittimita' e' pressocche'
concorde   nell'escludere   la  configurabilita'  del  vincolo  della
connessione qualificata tra il delitto associativo (contestato al Rea
con la seconda ordinanza) ed i fatti omicidiari (cfr. da ultimo, sez.
5a  25 gennaio  2000,  CED  216498,  Battaglia, conformi CED 205128 e
207161, 216244; contra 215017) e che, in ogni caso, detto vincolo non
sarebbe  in  alcun  modo  configurabile tra i due delitti di omicidio
oggetto   rispettivamente  della  prima  e  della  seconda  ordinanza
cautelare;  di  tal  che  l'applicazione  del  principio  di  diritto
enunciato  dalla  Corte  rescindente  comporterebbe  il  rigetto  del
gravame   che  andrebbe  invece  accolto  seguendo  l'interpretazione
ritenuta da questo Tribunale costituzionalmente corretta.