IL TRIBUNALE Ha pronunziato, all'esito dell'odierna udienza camerale, la seguente ordinanza sull'appello presentato il 15 settembre 2000 dal difensore di Rea Francesco avverso l'ordinanza emessa dal g.i.p. in sede in data 4 luglio 2000 con la quale veniva rigettata l'istanza di declaratoria d'inefficacia della misura cautelare applicata nei confronti del Rea con ordinanza del 16 febbraio 2000 ai sensi dell'art. 297, comma 3, c.p.p. decidendo in sede di rinvio a seguito dell'annullamento da parte della Corte di cassazione, con sentenza del 2 febbraio 2001, dep. 1 marzo 2001, dell'ordinanza di questo tribunale in data 10 ottobre 2000 che aveva, in accoglimento del gravame, dichiarata l'inefficacia della misura ed imposto al Rea il divieto di dimora nelle Province di Napoli, Avellino, Benevento e Caserta; Rilevato Che con l'impugnato provvedimento il g.i.p. ha rigettato l'istanza difensiva ritenendo che tra i fatti oggetto della prima ordinanza (omicidio Fico/Porricelli e connessi reati concernenti le armi) e quelli contestati al Rea con l'ordinanza del 16 febbraio 2000 (associazione camorristica e concorso nell'omicidio Fucile) non sussistesse il nesso teleologico richiesto dall'art. 297, comma 3, atteso "che l'omicidio oggetto della prima ordinanza risale a circa sei mesi prima dell'attivita' associativa oggetto della successiva contestazione e faceva riferimento a situazioni pregresse collegabili a soggetti e fatti del tutto diversi" e che, benche' la fonte di prova fosse per entrambi la medesima attivita' di intercettazione ambientale, tuttavia i fatti oggetto della seconda ordinanza erano stati riferiti al p.m. solo con un'informativa del gennaio 1999, successiva al rinvio a giudizio disposto in relazione al primo fatto; Che con i motivi d'appello la difesa, premesso che il tribunale costituito ex art. 310 c.p.p. aveva dichiarata l'inefficacia della misura disposta a carico di Mollo Francesco avente identica posizione processuale in quanto raggiunto da entrambe le ordinanze in questione (con decisione divenuta nelle more definitiva, avendo la 2a sez. della Corte di cassazione, con sentenza n. 02121/01 del 20 marzo 2001 dep. 2 luglio 2001, dichiarato inammissibile il ricorso del p.m., ndr) ha dedotto innanzi tutto l'erroneita' del rilievo del g.i.p. circa il tempo dell'omicidio Fico/Porricelli atteso che esso avvenne dopo quello in danno del Fucile (oggetto della seconda ordinanza), inquadrato nella lotta tra clan camorristici contrapposti, matrice questa comune anche all'omicidio Fico/Porricelli, entrambi addebitati, sulla base delle medesime intercettazioni, al Mollo ed al Rea; che la prima informativa dei Carabinieri di Torre del Greco risale al 17 febbraio 1998 di tal che il p.m. era in possesso di tutti gli elementi per la contestazione dei delitti oggetto dell'ordinanza del 16 febbraio 2000 gia' prima dell'emissione della prima ordinanza e che sarebbe in ogni caso assolutamente illogico ed inspiegabile che, mentre per l'omicidio Fico/Porricelli sono state svolte immediate indagini, per l'altra vicenda, emersa contestualmente alla prima, non sia stata svolta alcuna attivita' per circa otto mesi; Che in accoglimento del gravame, questo tribunale, costituito ex art. 310 c.p.p., ha annullato l'impugnata ordinanza ritenendo che, essendo il p.m. in possesso di tutti gli elementi sufficienti alla contestazione dei fatti oggetto dell'ordinanza del 16 febbraio 2000 gia' prima dell'emissione della prima ordinanza cautelare non fosse necessaria, ai fini dell'applicabilita' dell'art. 297, comma 3 c.p.p., la sussistenza del nesso teleologico di cui all'art. 12, comma 1 lettera b) e c) limitatamente ai reati commessi per eseguire gli altri, richiamando il prevalente indirizzo giurisprudenziale della Cassazione sul punto; Che con la surricordata sentenza di annullamento, la Cassazione ha censurato tale decisione per violazione di legge affermando il principio che "come si desume in modo inequivoco dal tenore letterale e logico della norma richiamata, il divieto della contestazione a catena opera - nel caso (come quello di specie) in cui sia stata disposta con piu' ordinanze la medesima misura cautelare per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza - sempre che in relazione a tali fatti sussista connessione ai sensi dell'art. 12, primo comma, lettere b) e c) c.p.p., limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri e sempre che si tratti di fatti desumibili dagli atti del procedimento prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione" e rilevando altresi' difetto di motivazione per aver il tribunale omesso "di indicare sulla base di quali concreti elementi e' stato raggiunto il convincimento che l'attivita' di intercettazione fosse sicuramente tale da integrare in se stessa la sussistenza di elementi indiziari gravi e precisi e concordanti in ordine ai fatti tutti oggetto della seconda ordinanza di custodia cautelare ivi compresa la individuazione dei partecipi al clan Veneruso"; Osserva che quest'ultimo profilo - attinente al difetto di motivazione e che pertanto non vincola questo giudice di rinvio a ritenere necessari, per l'emissione dell'ordinanza cautelare indizi gravi precisi e concordanti ne' a ritenere che per emettere ordinanza cautelare in relazione al delitto di cui all'art. 416-bis sia necessaria l'individuazione dei partecipi al clan e non bastino gravi indizi in ordine alla sussistenza dell'associazione e alla partecipazione ad essa del soggetto indagato, trattandosi di meri passaggi argomentativi esplicativi della necessita' di provvedere all'indicazione, omessa nel provvedimento impugnato, degli elementi integranti le condizioni di cui all'art. 273 c.p.p. - risulta in effetti pregiudiziale dal momento che se l'indagine richiesta avesse, in fatto, esito negativo difetterebbero in radice le condizioni di applicabilita' dell'art. 297, comma 3 c.p.p. Ha invero sostenuto il p.m. nel suo parere al g.i.p. e poi nel ricorso per cassazione, che ne' al momento dell'esercizio dell'azione penale in ordine ai fatti di cui al primo titolo custodiale ne', a maggior ragione, al momento dell'emissione di questo, esisteva a carico del Rea un quadro indiziario connotato dal requisito della gravita' in ordine al reato di cui all'art. 416-bis e di concorso nell'omicidio Fucile contestati con la seconda ordinanza (nella quale non e' stato contestato al Rea alcun reato di evasione - addebitati invece al Mollo - come erroneamente sostenuto nella sentenza della Cassazione) atteso che: l'informativa del 17 aprile 1998 atteneva ad una sparuta parte delle intercettazioni ambientali aventi ad oggetto dialoghi circa il delitto di tentata estorsione ascritto al Mollo; un quadro indiziario adeguato, idoneo a contestare la fattispecie dell'associazione camorristica e gli altri reati di cui alla successiva ordinanza e' stato offerto solo dall'informativa dei CC. del 16 febbraio 1999 contenente gli elementi investigativi in base ai quali erano stati compiutamente identificati i soggetti accusati di aver costituito o preso parte, insieme al Rea, al clan Veneruso nonche' quelli necessari per contestare il concorso nell'omicidio Fucile; la mera disponibilita' materiale delle bobine delle intercettazioni (avvenuta con la cessazione dell'attivita' d'intercettazione nell'aprile del 1998) non implica per il p.m. anche la conoscenza del contenuto dei dialoghi intercettati, essendone necessaria la trascrizione; la indispensabile e complessa attivita' di ricerca dei dati di riscontro e' stata portata a conoscenza dell'Ufficio di Procura solo con l'informativa del 16 febbraio 1999, successiva persino al rinvio a giudizio del Rea e del Mollo in ordine all'omicidio Fico/Porricelli oggetto dell'ordinanza dell'ottobre 1998; Siffatte affermazioni non possono pero', ad avviso di questo tribunale, esser condivise. Va innanzi tutto rilevato che a norma degli artt. 267, comma 4 (secondo cui il p.m. procede alle operazioni di intercettazione personalmente ovvero avvalendosi di un ufficiale di p.g.) e 268, commi 2, 3 e 4 (secondo cui nel verbale delle operazioni di intercettazione e' trascritto anche sommariamente il contenuto delle comunicazioni intercettate; i verbali e le intercettazioni sono immediatamente trasmessi al p.m. che, salva l'eccezione di cui al comma 5, entro 5 giorni provvede al deposito in segreteria) il p.m. che ha chiesto ed ottenuto l'autorizzazione all'intercettazione non ha la mera disponibilita' materiale delle bobine ma, con i verbali, anche la piena disponibilita' giuridica degli elementi di prova emergenti dal contenuto delle comunicazioni, tanto che la giurisprudenza e' assolutamente pacifica nel ritenere che, ai fini della richiesta di misura cautelare, non e' affatto necessario attendere la trascrizione delle registrazioni ma sono sufficienti i verbali contenenti sommariamente il contenuto delle comunicazioni (cd. brogliacci). Ne consegue che in tanto potrebbe affermarsi che il quadro indiziario abbia assunto il requisito della gravita' solo a seguito dell'informativa dei Carabinieri di Torre del Greco del 16 febbraio 1999 in quanto con essa fossero stati portati a conoscenza o i riscontri esterni eventualmente necessari ovvero gli esiti delle indagini eventualmente necessarie per l'identificazione degli interlocutori o dei personaggi cui costoro si riferiscono durante le conversazioni intercettate. Ma nel caso di specie non e' cosi', ne' in relazione al delitto di cui all'art. 416-bis ne' in relazione al concorso nell'omicidio Fucile, contestati al Rea con la successiva ordinanza del 16 febbraio 2000. Quanto all'ipotesi associativa, va infatti evidenziato che gia' nell'ordinanza cautelare applicativa della custodia cautelare in carcere per l'omicidio Fico/Porricelli, emessa nell'ottobre del 1998, venne contestata al Mollo ed al Rea l'aggravante di cui all'art. 7 legge n. 203/1991 avendo agito "avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis C.P. essendo il Mollo ed il Rea appartenenti ad organizzazione camorristica" e, nella richiesta del p.m. riportata come parte integrante della motivazione, si legge: "successivamente i CC. di Torre del Greco, con informativa del 17 febbraio 1998, nell'ambito dell'attivita' di indagine condotta nei confronti del clan Veneruso (operante in Volla e paesi limitrofi) evidenzia vano il contenuto di una conversazione ... (nel corso della quale) il Mollo parla con un suo amico in corso di identificazione e fa riferimento ad alcuni personaggi affiliati al clan di cui egli stesso fa parte ... parla, tra gli altri, anche di Rea Francesco detto "o' Pagliesco raccontando dell'esecuzione dell'omicidio "del marito e della moglie individuato dagli inquirenti in quello dei coniugi Fico/Porricelli, avvenuto il 29 gennaio 1997" Orbene la stessa contestazione dell'aggravante di cui all'art. 7, legge n. 203/1991 nei termini suindicati sta a significare che gia' in quel momento esistevano, nei confronti del Rea e del Mollo, indizi gravi anche in ordine alla loro partecipazione al "clan Veneruso". L' inconfutabile conferma di cio' proviene dalla richiesta di applicazione della misura successivamente formulata dal p.m. (ed accolta dal g.i.p. con l'ordinanza del 16 febbraio 2000) che, in relazione all'esistenza del clan Veneruso e alla partecipazione ad esso del Rea, cosi' motiva: "Il clan Veneruso deve il suo nome a Gennaro Veneruso, promotore e capo carismatico indiscusso, come si vedra', del gruppo che opera prevalentemente nell'area del comune di Volla. Attualmente il clan Veneruso si e' assicurato una posizione di assoluto ed esclusivo predominio nell'area vollese, imponendo la propria forza di gruppo organizzato sia nei confronti della popolazione sia nei confronti dei clan operanti nei comuni viciniori. La commissione di efferati delitti contro l'incolumita' personale nei confronti di "nemici esterni ma anche interni all'associazione stessa (si pensi in particolare al duplice omicidio Fico-Porricelli e all'omicidio di Fucile Francesco di cui si dira) ha "accreditato gli uomini del clan Veneruso presso le altre organizzazioni militari; d'altro canto la forza militare manifestata dal clan Veneruso per la realizzazione dei propri scopi e la sorprendente disponibilita' di armi di vario tipo ha contribuito a dare maggiore spessore alla capacita' intimidatoria dell'organizzazione stessa. Il clan Veneruso puo' infatti contare su uno stato di effettiva soggezione e omerta' della popolazione, circostanza questa che consente all'organizzazione di perpetrare delitti in maniera quasi indisturbata e anzi al riparo dal rischio di possibili denunce da parte delle vittime. Come si dira' piu' diffusamente in seguito, l'attivita' illecita al tempo stesso piu' redditizia e diffusa nell'area vollese e', secondo quanto riferito dalle stesse forze dell'ordine, quella delle estorsioni. Cio' sia perche' numerose sono le iniziative per la realizzazione di opere pubbliche nel territorio del comune di Volla, sia perche' il clan puo' contare sulla scarsa collaborazione con le forze dell'ordine da parte della popolazione civile, che solo di rado ha denunciato episodi di violenza e/o minaccia". Prima di concentrare l'attenzione sul clan Veneruso, e' tuttavia opportuno inquadrare in chiave storica le alleanze createsi tra i diversi clan camorristici operanti nell'area vesuviana e in particolar modo nei comuni di Casalnuovo di Napoli e di Volla. Cio' al fine di evidenziare come lo stesso clan si sia nel tempo assicurato un ruolo di reale predominio e di effettivo controllo del territorio nella zona vollese. Il clan Veneruso si e' infatti garantito da possibili ingerenze e intrusioni esterne ad opera di altri gruppi, sia grazie all'affermazione di forza che promana da tale posizione egemonica, sia attraverso un sistema di alleanze piu' o meno esplicite con i clan operanti nei comuni limitrofi. In particolare Gennaro Veneruso era legato da un saldo vincolo di amicizia con Francesco Romano, esponente del clan Romano, operante in Casalnuovo di Napoli. Per meglio chiarire l'importanza di tale legame, occorre fare una premessa sulla guerra di camorra che in Casalnuovo dopo la eliminazione di Egizio Antonio si e' aperta e per certi versi e' tuttora in corso tra il clan Romano e il clan Piscopo per la spartizione del territorio e l'affermazione di egemonia per la gestione delle attivita' illecite. Antonio Egizio era, sin dai primi anni `90, il capo dell'organizzazione camorristica che gestiva e controllava direttamente il territorio di Casalnuovo e di Acerra, esercitando nel contempo anche una forte influenza sui clan operanti in territori confinanti, tra cui il clan Veneruso. Il 13 febbraio 1993, Egizio rimaneva vittima di un agguato deciso all'interno del suo stesso clan da parte delle famiglie Romano e Piscopo, che intendevano assumere la leadership del sodalizio e che per la stessa ragione entravano subito dopo in conflitto tra loro. Orbene per Gennaro Veneruso il legame tra il suo clan e il clan Romano e' tanto piu' prezioso proprio perche' tale ultimo gruppo camorristico si contende con il clan Piscopo il potere egemonico nell'area di Casalnuovo, paese confinante con Volla. Ulteriore e ugualmente importante punto di unione tra il clan Romano e il clan Veneruso e', poi, il forte vincolo di amicizia che lega Francesco Rea, detto 'o Pagliesco, (elemento di spicco militante nel clan Romano) e Manna Pasquale (esponente di notevole rilievo, come si vedra', del clan Veneruso). L'esistenza di una effettiva e solida rete di collegamento tra gli uomini del clan Veneruso e gli uomini del clan Romano e i reciproci interessi nel mantenere rapporti di "buon vicinato" nell'area dei comuni di Volla e di Casalnuovo e' attestata, inoltre, dalle risultanze investigative che hanno condotto all'adozione del provvedimento restrittivo in carcere emesso dal g.i.p. presso il Tribunale di Napoli con ordinanza n. 353/1998 del 16 ottobre 1998 nei confronti di Mollo Francesco e Rea Francesco, accusati del duplice omicidio in danno di Fico Pasquale e Porricelli Lucia, avvenuto in Casalnuovo il 29 gennaio 1997. Tale vicenda delittuosa si iscrive a pieno titolo nella faida di camorra esistente in Casalnuovo tra il clan Piscopo e il clan Romano e proprio per questo segna un importante momento di saldatura tra gli uomini del clan Rea- Romano e gli uomini del clan Veneruso. Il duplice omicidio Fico-Porricelli e' infatti, nell'ambito di una catena di delitti per cosi' dire a reazione tra i due clan, il frutto di una vendetta personale voluta da Rea Francesco e messa in atto da Mollo Francesco per l'omicidio di Rea Giuseppe, fratello di Francesco, e di Raffaele Di Donato verificatosi il 7 novembre 1994 in seguito ad un agguato voluto dall'organizzazione capeggiata da Piscopo Pino e mirato alla eliminazione di Rea Francesco (anche se poi, per effetto di una vero e proprio errore di persona, altre, come si vedra', furono le vittime). Ruolo decisamente significativo nella commissione del duplice omicidio Rea-Di Donato, lo ebbe la famiglia Fico, la quale, abitando in Casalnuovo in una abitazione posta di fronte a quella di Rea Francesco era stata incaricata di segnalare gli spostamenti di Rea Francesco, all'evidente scopo di consentire agli uomini del clan Piscopo di tendere a questo un agguato. La collaborazione prestata in tale circostanza dalla famiglia Fico trova ampia giustificazione alla luce dei rapporti pregressi esistenti tra Fico Pasquale e Rea Francesco. Fico aveva infatti ottenuto da quest'ultimo un prestito di 18 milioni, per la restituzione del quale era stato pattuito un pagamento rateale; il Fico tuttavia dopo aver pagato la prima rata si mostro' inadempiente; non solo, ma quando il Rea pretese con insistenza che il Fico tenesse fede agli accordi presi, tra i due ne era nata una discussione accesa che evidentemente aveva fatto sorgere nel Rea un desiderio di vendicarsi e di punire l'atteggiamento prepotente e arrogante del proprio debitore. Questo motivo e' alla base dell'attentato sotto forma di gambizzazione posto in essere dallo stesso Rea nei confronti di Fico Pasquale. La trama che consente di inquadrare in un'unica cornice tali eventi e' ben spiegata dai collaboratori di giustizia, Romanelli Giuseppe e Manna Amodio, sentiti dal p.m. di questa d.d.a. il 22 aprile 1998, i cui verbali sono acquisiti agli atti del procedimento. Quanto poi alla valenza che deve essere attribuita alle dichiarazioni rese dai due collaboranti, si tenga presente che la seconda sezione della Corte di Assise di Napoli, nell'ambito del procedimento a carico di Manna Amodio, Romanelli Giuseppe, Capasso Antonio, Panico Gennaro, Fico Domenico e Cirella Aniello per l'omicidio di Rea Giuseppe e Di Donato Raffaele, nel valutare il contenuto delle dichiarazioni accusatorie ed autoaccusatorie dei due collaboratori, ha affermato "la attendibilita' intrinseca di Manna e Romanelli, stante la complessiva fondatezza delle loro dichiarazioni, corrispondenti ai risultati della prova generica, nonche' alle deposizioni testimoniali descritte, in mancanza di contestazioni di rilievo, deve ritenersi una costanza e coerenza delle stesse dichiarazioni e una loro autonomia, in quanto ispirate a fonti di conoscenza diretta e indiretta (per il Romanelli), riportando quest'ultimo la genesi delle sue accuse". Al di la', poi, delle conclusioni cui e' giunta la Corte di assise nel valutare la sussistenza in capo ai singoli imputati degli elementi per la affermazione della loro responsabilita' penale in ordine al duplice omicidio Rea-Di Donato (la Corte ha emesso sentenza di condanna nei confronti di Manna e Romanelli e di assoluzione nei confronti di tutti gli altri, cio' che conta e' la robusta convinzione negli ambienti criminali che il vero obiettivo dell'agguato era Rea Francesco e che i Fico ebbero un ruolo determinante nella fase esecutiva dell'assassinio. Di non poco significato, al riguardo e' il contenuto delle dichiarazioni rese da Fico Pasquale il 30 dicembre 1996, cioe' il giorno successivo a quello in cui il figlio Fico Domenico era stato tratto in arresto in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal g.i.p. presso il Tribunale di Napoli proprio con riferimento al duplice omicidio Rea-Di Donato. Fico Pasquale, presentatosi spontaneamente presso la caserma dei C.C. di Castello di Cisterna, nell'evidente intento di scagionare il figlio, attribui' a se' il ruolo e la condotta contestata a Fico Domenico, accusandosi in tal modo egli stesso di avere concorso nell'omicidio. Appare dunque evidente che, anche a prescindere dalle risultanze dibattimentali, negli ambienti malavitosi in cui il duplice omicidio Rea-Di Donato e' maturato, i Fico vengono individuati quali responsabili dell'azione delittuosa: da cio' la sete di vendetta di Rea Francesco contro Fico Pasquale e Fico Domenico. A soddisfare tale abietto desiderio e', come si e' detto, uno degli esponenti del clan Veneruso, Mollo Francesco, destinatario, unitamente a Rea Francesco dell'ordinanza di custodia cautelare n. 353/1998 emessa dal g.i.p. presso il Tribunale di Napoli in relazione al duplice omicidio Fico-Porricelli. Il forte legame con Rea Francesco consente al clan Veneruso di esercitare la propria influenza anche sulle zone limitrofe il comune di Volla, in particolare nella zona di Castello di Cisterna e nella localita' Casarea. Che tale potere non sia poi solo una astratta potenzialita' per il clan Veneruso emerge in maniera lampante dalla lettura di alcuni brani delle intercettazioni ambientali. In particolare, in un occasione Mollo si lamenta con i propri compagni di essere stato costretto, lui che, si ricorda, era detenuto agli arresti domiciliari, a commettere un'evasione per recarsi in Castello di Cisterna al fine di dare una lezione a Gallo Claudio. Questi, che viene indicato nei dialoghi anche come lo zio di Rodolfo (Biondelli Rodolfo perse la vita in un agguato di camorra il 4 aprile 1996), e' l'autore dei cosi' detti "cavalli di ritorno", vale a dire delle estorsioni praticate per costringere le vittime a consegnare somme di danaro per riacquistare la disponibilita' di autovetture di cui sono stati in precedenza derubati. Cio' che fa scattare la dura reazione di Mollo e' la necessita' di non esasperare gli animi della popolazione, la quale, di fronte a piccole ma pur sempre spiacevoli aggressioni alla proprio vita quotidiana potrebbe essere indotta a cercare la protezione da parte delle Forze dell'Ordine. In altre parole il clan intende controllare il territorio di propria pertinenza anche e soprattutto ergendosi a tutore dell'ordine pubblico e sovrapponendosi in tal modo all'apparato statuale. II.b.1.C. Omicidio Fico-Porricelli. E' necessario premettere che per tale vicenda pende autonomo fascicolo processuale; se tuttavia si ritiene opportuno parlarne anche in tale sede e' per mettere in risalto la riconducibilita' dell'omicidio medesimo nell'ambito di un piano delinquenziale maturato all'interno dell'associazione del clan Veneruso. Il 29 gennaio 1997, verso le ore 13,30 circa, in Tavernanova, vennero uccisi i coniugi Fico Domenico e Porricelli Lucia, i quali al momento dell'agguato si trovavano a bordo di una autovettura Alfa Romeo 75 di colore rosso, che viaggiava lungo la via Nazionale delle Puglie in direzione di Pomigliano d'Arco. La corsa fu arrestata dall'esplosione dei colpi d'arma da fuoco, allorche' i due coniugi, giunti all'altezza dell'incrocio per Casalnuovo (via Arcora) e per Volla (via Filichito), venivano affiancati da un'autovettura a bordo della quale viaggiavano i sicari. Nel corso del sopralluogo, venivano rinvenuti 19 bossoli cal. 9 lungo e cal. 9 corto (come emerge dall'annotazione dei militari operanti intervenuti nell'immediatezza). La diversita' dei bossoli rinvenuti sul luogo dell'omicidio, non compatibili in una sola pistola, rende evidente che sono state utilizzate due pistole semiautomatiche. Una conferma dell'ingente volume di fuoco con il quale furono investite le vittime, si ricava dai referti medici dell'ospedale "Loreto Mare" di Napoli, nei quali si da' atto della presenza di numerose ferite d'arma da fuoco rinvenute su entrambe le salme. L'identificazione dei responsabili di tale azione delittuosa in Mollo Francesco, quale esecutore materiale, e in Rea Francesco, quale mandante, e' stata possibile grazie alle risultanze probatorie dell'attivita' di intercettazione ambientale svolta presso l'abitazione di Mollo Francesco, ove lo stesso si trovava ristretto agli arresti domiciliari. In particolare dall'ascolto della conversazione del 13 febbraio 1998 di cui all'allegato 9, si ricava che Mollo, discorrendo con altro interlocutore non identificato, si vanta di essere l'autore di 10 omicidi consumati in Volla e in particolare di quello in danno di Fico Pasquale e Porricelli Lucia. Si riporta di seguito integralmente la parte del dialogo in esame: (omissis) Mollo F.: Il piacere piu' grande gliel'ho fatto io al Pagliesco. Manna A.: Si, il fatto di quelli di Tavernanova. Mollo F.: Il marito e la moglie. Manna A.: e la figlia, perche' non la sparasti? Mollo F.: La figlia non la sparai, perche' non la volli sparare. Sparai venti botte. Dieci addosso al marito e dieci addosso alla moglie, con due pistole. Dissi: "Franchitiello "o' Pagliesco solo io te la posso dare la soddisfazione". Il "Pagliesco" piangeva, disse Pasquale "Pasqualino" tiene le corna, te lo dico ora la soddisfazione me la doveva dare lui e non me l'ha data. Me l'hai data tu. Manna A.: Ha le corna veramente? Mollo F.: Pero' stai zitto. Manna A.: La moglie gli ha fatto le corna? Mollo F.: No, non hai capito. Manna A.: Io credevo che stava sotto allo schiaffo. Mollo F.: Il "Paliesco" voleva la soddisfazione da Pasquale e Pasquale non gliela volle dare. Gliela diedi io la soddisfazione, il "Pagliesco" lo sai che disse vicino a me, piangeva con le lacrime, disse: "Franchitiello, qualsiasi momento ti trovi nei problemi, succedesse qualcosa, vieni da me, io 2 - 3 milioni al mese non mi mancano mai, perche' io do i soldi con l'interesse, ti faccio campare pure a te. Il "Pagliesco" mi vuole bene a me, schifa a tutti quanti a Volla, mi vuole bene solo a me, perche' la soddisfazione gliel `ho data io. (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 9). La perfetta coincidenza tra i particolari con cui ebbe a verificarsi il duplice omicidio secondo il racconto di Mollo e gli elementi di fatto oggettivamente riscontrati dai CC in sede di sopralluogo rende chiaro che l'atteggiamento di Mollo e' tutt'altro che una millanteria e che proprio questi e' l'autore materiale del duplice omicidio. D'altro canto anche il g.i.p., nell'accogliere con l'ordinanza n. 353/1998 la richiesta di applicazione della misura custodiale avanzata da questa d.d.a. nei confronti di Mollo e di Rea, aveva condiviso l'assunto accusatorio basato sull'effettiva conoscenza da parte del Mollo di significanti particolari inerenti la vicenda di cui si tratta. Si tenga infatti presente che: Le vittime dell'agguato erano due coniugi ("il marito e la moglie"); i CC riferiscono che l'autovettura condotta dalla Porricelli venne attinta dagli spari lungo la via Nazionale delle Puglie, all'altezza dell'incrocio per Casalnuovo da un lato e per Volla dall'altro; nel dialogo tra Mollo e il suo interlocutore il luogo del commesso reato e indicato indifferentemente in "Volla" e in "Tavernanova". Geograficamente Tavernanova e' in effetti una localita' che forma una sorta di triangolo tra i comuni di Pomigliano d'Arco, Casalnuovo e Volla; la figlia delle vittime, Fico Antonietta, si trovava nella stessa auto a bordo della quale viaggiavano i genitori al momento dell'attentato; Mollo asserisce di avere voluto risparmiare la figlia; in sede di sopralluogo sul luogo del delitto venivano repertati 19 bossoli calibro 9 lungo e calibro 9 corto (i due calibri differenti non sono compatibili in una sola pistola, ragion per cui le armi utilizzate per il delitto dovevano essere almeno due), Mollo riferisce come si e' visto di avere agito "con due pistole"; al Fico e alla Porricelli vennero refertate numerose ferite d'arma da fuoco, Mollo racconta di avere esploso "venti botte, dieci addosso al marito e dieci addosso alla moglie". Come si e' detto per tale fatto delittuoso si procede separatamente (in merito a tale vicenda Rea Francesco e Mollo Francesco, colpiti entrambi da provvedimento di custodia cautelare, sono stati rinviati a giudizio dinanzi alla Corte di assise di Napoli); cio' che interessa in questa sede evidenziare e' che nella commissione del duplice omicidio Fico-Porricelli, Mollo Francesco ha agito non isolatamente o a titolo personale, ma in quanto affiliato all'associazione camorristica del clan Veneruso. Il passo della conversazione oggetto di intercettazione ambientale nella quale Mollo confessa in via assolutamente confidenziale all'amico di essere l'autore del fatto, deve essere letta in un piu' ampio contesto, tenendo anche presente il tenore dell'intero dialogo. In effetti il Mollo, dopo che Arienzo Salvatore e tale Vincenzo sono andati via dalla sua abitazione, si sfoga con l'altra persona che rimane in casa (tale Alessandro chiamato anche "Cafone") e, nell'analizzare l'attuale stato in cui si trova il clan Veneruso, manifesta l'amarezza che prova per il fatto di essere ristretto agli arresti domiciliari in relazione a una vicenda delittuosa di cui anche altri sono responsabili. Secondo l'angolo visuale del Mollo, egli che e' "uomo d'onore, vero uomo e che non ha chiamato in causa gli altri affiliati del clan, si trova costretto a scontare un regime di detenzione pur essendo un elemento cardine del gruppo; laddove i suoi "compagni", che egli ritiene di uno spessore criminale inferiore, pur avendo bisogno di lui e in special modo del sua capacita' nel maneggiare armi, non si adoperano sufficientemente per farlo tornare in liberta'. Tale irriconoscenza e' tanto piu' grave proprio perche' Mollo, nell'interesse del sodalizio, si e' macchiato di dieci omicidi (Mollo ci tiene a sottolineare l'elevato numero di persone che ha ucciso), atteso che ne' Gennaro Veneruso ne' Pasquale Manna (gli altri due uomini di vertice del clan) sono in grado di sparare. E' a tale proposito che Mollo racconta del duplice omicidio Fico-Porricelli. E' evidente dunque che lo stesso Mollo inquadra nell'ambito associativo l'azione criminale commessa. II.c.1.D Rea Francesco. Nelle pagine che precedono, si e' gia' posto l'accento sull'importanza apicale che Rea Francesco ricopre all'interno del sodalizio criminale. Si e' in particolare gia' detto del riconoscimento che Rea Francesco riceve direttamente da Veneruso Gennaro quale soggetto chiamato a guidare il clan, unitamente a Mollo Francesco e Manna Pasquale, allorche' lo stesso Veneruso non avesse potuto piu' svolgere il suo ruolo di capo. Mollo F.: Mi disse: "non preoccuparti. non prenderti collera, stai tranquillo. Non ci sono problemi, tanto siamo tre di noi. Io, tu e Pasquale (Veneruso Gennaro, Manna Pasquale e Mollo Francesco n.d.c.". Disse Pasquale: "gia' lo sa. Oggi o domani che dovesse succedere qualche disgrazia a me o a lui, devi essere tu a comandare a Volla con il "Pagliesco" (Rea Francesco n.d.c.)". Mollo N: Tu dicesti che non volevi farlo fare pace. Mollo F.: Come? Mollo N: Tu dicesti che non volevi farlo fare pace con il "Pagliesco". Mollo F.: Gennaro non voleva fare pace, perche' il "Pagliesco" sbaglio' con la bocca nei confronti di Gennaro. Mollo N.: Il "Pagliesco"? Mollo F.: Disse: "no... Incom... Tutti quanti dal primo fino all'ultimo non voglio sapere niente piu' di voi". Disse Gennaro: "allora vattene e non venire piu'. Stai attento, non venire piu' a Volla". Prima che lo arrestavano disse vicino a me: "oggi o domani che dovesse succedere qualcosa, al capo tavolo a Vola ti devi mettere tu". Dissi: "ma fuori ci state sempre voi". Disse: "Franchitiello, quello Gennaro gia' sa quello che deve fare. E' un ragazzo... Incom." ... Disse Pasquale: "te l'ho detto, se la vede lui. Gia' sa quello che deve fare. Solo che esco lunedi', mannaggia la Madonna, se non mi fanno uscire questi, all'avvocato me lo mangio. Mollo N.: Per non farti sapere nulla vuol dire che sta tutto apposto. Mollo F.: Incom. (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 12). La presenza di Rea Francesco all'interno del sodalizio criminale assicura all'intero clan il controllo del territorio nel triangolo compreso tra le localita' di Casalnuovo, Casarea e Volla. Mentre dunque Mollo Francesco e Manna Pasquale controllano piu' direttamente, anche in considerazione del luogo della loro effettiva dimora, l'area del comune di Volla, Rea Francesco, in virtu' degli accordi presi direttamente con Veneruso Gennaro all'indomani dell'uccisione di Egizio e' da sempre il capo indiscusso della zona sopra indicata. La necessita' per il clan"Veneruso" di mantenere salda l'amicizia con Rea Francesco al punto tale da fare di quest'ultimo un vero e proprio vertice dell'organizzazione si apprezza in tutta la sua importanza sol che si pensi che, come si e' gia' detto, il clan "Piscopo", facente capo alla figura di Piscopo Pino, detto "metronotte", opera nella medesima area di Casalnuovo, in contrapposizione al Rea. Dunque, per un verso e' Rea Francesco che, contando sulla solida e complessa organizzazione criminale del clan "Veneruso" puo' adeguatamente contrastare le mire espansionistiche del clan "Piscopo"; per altro verso unica possibilita' per il clan "Veneruso" di far valere la propria forza anche nell'area di Casalnuovo e' l'alleanza con lo stesso Rea Francesco. ... omissis ... Mollo F.: Compa' Peppe a Casarea mi chiama, dice: "Alfredo comunque non devi fare niente piu' e se fai qualcosa, per domani te ne faccio andare ad abitare da Casarea a te e tutta la famiglia tua e mi prendo pure la casa". Lui disse: "Peppiniello se mi merito questo, fatemelo. Cosa volete da me". Ma poi come lo dice il "pollasto" rideva e Alfredo lo guardava. Io poi mi mantenevo, perche' gia' lo so. "O pullasto" disse: "no zi' Alfredo, io sto ridendo perche' la cosa fa ridere, perche' voi sareste l'uomo. "`O pullasto" subito giro' la pezza. Voi siete l'uomo di essere chiuso dentro casa? Disse: "si, hai capito bene". Compa' Peppe, compa' Peppino, il figlio di Giovannone. Mi disse: "io te ne faccio andare da Casarea a te e tutta la tua famiglia tua e mi prendo pure la casa". Lui disse: "io sto da 65 anni a Casarea". Mollo N.: Ma questo Peppe e' compagno con voi? Mollo F.: Si. Mollo N.: E perche' lo uccisero. Mollo F.: Stava nei casini. Dammi una sigaretta. Questo qua di Casalnuovo il "metronotte", il nemico del "pagliesco". Mollo N.: E ora e' morto questo "metronotte"? Mollo F.: No, sta in galera. Mollo N: ll nemico del "pagliesco" e'? E tu dici che comanda solo lui a Casalnuovo? Comanda lui o il "pagliesco"? Mollo F.: Cosa? Mollo N.: Tu dici che quello disse che a Casalnuovo comanda lui. Mollo F.: A Tavernanova. Mollo N.: Pasquale, non comanda niente a Tavernanova. ... omissis ... (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 43). All'interno del sodalizio, poi, particolarmente forte e il vincolo che lega Rea e Mollo. Si e' gia' detto come i due siano i responsabili del duplice omicidio Fico-Porricelli, in relazione al quale sono stati entrambi gia' colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere, il primo quale mandante ed il secondo quale autore materiale; i predetti risultano anche essere gli autori, in concorso con il Manna, dell'omicidio di Fucile Francesco. In particolare nel corso delle conversazioni oggetto d'intercettazione ambientale, in piu' occasioni, Mollo rimarca che e' stato lui l'unico a dare effettiva e concreta "soddisfazione" a Rea, allorche', uccidendo i coniugi Fico-Porricelli, vendico' lo stesso Rea. ... omissis ... Mollo F.: Il "Pagliesco" voleva la soddisfazione da Pasquale e Pasquale non gliela volle dare. Gliela diedi io la soddisfazione, il "Pagliesco" lo sai che disse vicino a me, piangeva con le lacrime, disse: "Franchitiello, qualsiasi momento ti trovi nei problemi, succedesse qualcosa, vieni da me, io 2 - 3 milioni al mese non mi mancano mai, perche' io do i soldi con l'interesse, ti faccio campare pure a te. Il "Pagliesco" mi vuole bene a me, schifa a tutti quanti a Volla, mi vuole bene solo a me, perche' la soddisfazione gliel'ho data io. Manna A.: Ma ora sta dentro per duplice omicidio? Mollo F.: Si. Manna A.: E chi se lo ha cantato. Mollo F.: No, il fatto dell'estorsione. Manna A.: E tu hai detto come, per duplice omicidio, il fatto di Casalnuovo?... lncom. Mollo F.: Il fatto dell'estorsione dell'attico la'. Manna A.: Incom. Mollo F.: No, non si puo' fidare di nessun ragazzo. Il "Paliesco" lo sa, a Volla solo io lo faccio il reato e nessuno piu', il resto sono tutti rincoglioniti, si vogliono prendere solo i meriti. Lo sa bene il "Pagliesco". Manna A.: Ma con Gennaro (Gennaro Veneruso, n.d.c.) non e' riuscito a fare pace "o `Pagliesco"? Mollo F.: Ragazzo "o `Pagliesco" e' il numero uno. Manna A.: Si, sono convinto. Mollo F.: Io e il "Pagliesco" ci prendevamo tutta la Campania. ... omissis ... (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 9). Significativo al fine di comprendere il ruolo apicale di Rea e' che lo stesso Mollo, nell'esaltare le proprie capacita' criminali, pone in evidenza con i suoi interlocutori le "doti" di Rea, che egli considera pari a se stesso, se non ad un livello superiore sotto il profilo delle abilita' delinquenziali. ... omissis ... Mollo F.: "Pulla'" uno, perche' uno non vuole parlare, perche' se parliamo andiamo a finire a mille e una notte. "Pulla" qua giu' a Volla a me e a Franchitiello "o' Pagliesco" (Rea Francesco, n.d.c.) ci devono fare il bocchino, il bocchino veramente. Antonio: Si, ma chi lo deve sapere lo sa. Mollo F.: Poi, tutto il resto, che si mettono il vestito addosso e comando, ditegli che ci vengono a fare il bocchino. Io, se mi scoccio e quello esce, no. Salvatore: Ma quello chi lo deve sapere lo sa. (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 45). In particolare e' lo stesso Mollo a sottolineare come, all'interno del clan, a parte lui stesso, unica persona ad avere il coraggio e l'abilita' necessaria per un utilizzo proficuo delle armi sia proprio il "pagliesco", vale a dire Rea Francesco; tanto che, nel periodo in cui Rea e' sottoposto a regime detentivo carcerario e Mollo a quello domiciliare, l'intero clan incontra serie difficolta' nel risolvere con il fuoco delle armi l'opposizione di coloro che si dimostrano riottosi al riconoscimento dell'egemonia del clan. ... omissis ... Mollo F.: Pasquale ha detto: "ci ho tolto la roba di mano a Demetrio, perche' non ci trovavamo con i conti. Ci trovavamo con 10 -15 milioni al mese mancanti e se li rubava Demetrio". Manna A.: E perche' non lo spara? Mollo F.: Perche' non lo spara? Perche' non tiene il coraggio, perche' sto agli arresti domiciliari. Se stavo fuori gia' lo avrei sparato, hai capito o no. Perche' il Pagliesco (Rea Francesco, n.d.c.) non c'e' e perche' io sto agli arresti domiciliari. "Cafone", Pasquale non e' all'altezza di sparare e neanche Gennaro. Manna A.: E come stanno in mezzo alla strada? Mollo F.: Perche' ci devono stare. (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 9). L'ascolto delle conversazioni oggetto d'intercettazione ambientale fa emergere che Rea Francesco ha avuto un ruolo attivo di prioritaria importanza nell'organizzazione dell'opera di penetrazione e di affermazione del clan "Veneruso" nell'area del comune di Volla. In particolare Mollo evidenzia come "a risolvere i problemi a Volla" siano stati lui ed il "Pagliesco". ... omissis ... Mollo F.: Gennaro, ma a me la cosa che mi fa male di piu' lo sai qual'e', Gennaro lo sai qual e' la cosa che a me mi fa male di piu', perche' io ho fatto i sacrifici per Volla. Agostino e Renato e chi sta presente, Renato qualcosa lo sa. Io ho fatto i sacrifici veramente per Volla. Gennaro, io mi sono privato della vita privata mia, io mi sono messo giu' in cantina, io e Francuccio (Rea Francesco n.d.c.), a settimane intere ci siamo mangiato pane e mortatella per risolvere i problemi a Volla e adesso non puo' venire il primo scemo qualsiasi e mi rompe il cazzo, e mi rompe le uova nel piatto, pero' io sto qua, ho le mani legate. Cosa devo fare? ... omissis ... (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 33). Com'e' agevole rilevare all'omicidio Fico/Porricelli ed alla responsabilita' del Mollo e del Rea in ordine a tale episodio delittuoso e' riconosciuto il massimo rilievo sia in ordine alla sussistenza dell'associazione sia in ordine alla partecipazione del Rea alla stessa e comunque in proposito non vengono utilizzati elementi diversi da quelli provenienti dall'attivita' di intercettazione eseguita nell'abitazione del Mollo ed a disposizione del p.m. gia' dall'aprile del 1998. Ad identica conclusione deve pervenirsi anche per cio' che concerne l'omicidio Fucile relativamente al quale va osservato che esso e' addirittura antecedente a quello Fico/Porricelli - cosicche' erroneo si rileva il rilievo del g.i.p. quanto alla successione temporale dei due fatti delittuosi - e che gli elementi indizianti nei confronti del Mollo, del Rea e del Manna emergono da una intercettazione ambientale successiva di pochi giorni a quella concernente l'omicidio Fico/Porricelli. Relativamente all'omicidio del Fucile, invero, cosi' scrive il p.m. nella richiesta di applicazione della misura cautelare: II.b.1.B Omicidio Fucile Francesco. L'ascolto delle conversazioni oggetto di intercettazione ha consentito di individuare con assoluta certezza mandanti ed esecutori materiali dell'agguato di camorra nel quale fu ucciso Fucile Francesco, soprannominato "Ciccio `a lupara". Le risultanze investigative che all'epoca dei fatti non consentivano di ipotizzare un esito fruttuoso dell'esercizio dell'azione penale acquistano nuovo vigore probatorio alla luce del dialogo intercorso tra Mollo Francesco e Gennaro Napoli il 22 febbraio 1998. In tale circostanza, infatti, Mollo riferisce al compagno nei minimi particolari la dinamica dei fatti e le modalita' con cui egli stesso, con l'ausilio di Manna Pasquale e di Rea Francesco, ha ammazzato Fucile Francesco. Per potere valutare con piena cognizione la valenza probatorio del racconto di Mollo, si ritiene opportuno riportare le risultanze investigative delle indagini condotte nell'immediatezza dell'omicidio dal Comm.to P.S. di Ponticelli e dai CC della Compagnia di Torre del Greco. Gli operanti, in data 17 gennaio 1997, a seguito di segnalazione anonima, si recavano in Volla alla via Ovidio n. 7, presso l'officina meccanica gestita da tale Raiola Vincenzo. Giunti sul posto constatavano che all'interno del locale, e precisamente dentro il retrobottega, vi era il cadavere di Fucile Francesco, riverso a terra con il viso verso il pavimento. Questi si presentava con numerose ferite da colpi d'arma da fuoco dai quali era stato attinto e, particolare di rilevante importanza, con il cranio completamente dilaniato (i rilievi fotografici eseguiti sul luogo del delitto dal personale della Polizia evidenziano proprio lo sfondamento e lo scoperchiamento della calotta cranica). Contro il Fucile era stato esploso un numero elevato di colpi, come si evince dai molteplici fori di entrata presenti in distinte parti del cadavere del Fucile, dal fatto che lo stesso aveva il volto completamente sfigurato e dal rinvenimento, in sede di sopralluogo, di bossoli, alcuni calibro 9 e alcuni calibro 12, appartenenti dunque a distinte armi utilizzate evidentemente per commettere il delitto. Il titolare dell'officina meccanica, Raiola Vincenzo, pur essendo ivi presente al momento dell'agguato, dichiaro' di non essere in grado di fornire agli inquirenti alcun particolare significativo al fine di individuare gli autori del fatto, poiche' egli era intento a riparare l'autovettura di Fucile Francesco e allorche' udi' le prime detonazioni si rifugio' sotto lo stesso veicolo con gli occhi chiusi. In effetti il Raiola si limito' a riferire che la sparatoria era durata pochi secondi, che tuttavia aveva sentito esplodere molti colpi e che, alla luce della propria esperienza di meccanico, l'auto a bordo della quale erano arrivati i killer doveva essere, in ragione del rumore del motore, di grossa cilindrata. ... omissis ... A.d.r. quest'oggi mentre ero intento a riparare l'autovettura Fiat Uno turbo di colore verde metallizzato di proprieta' di Francesco Fucile un mio cliente soprannominato "Ciccio a lupara", ho sentito il rumore di un'autovettura che ha frenato di colpo all'altezza dell'officina e subito dopo ho visto il Fucile scappare verso l'interno dell'officina e contestualmente ho udito numerose detonazioni. A.d.r. Voglio precisare meglio la posizione in cui mi trovavo al momento del fatto: ero sdraiato sul fianco sinistro e mi trovavo sotto il motore dell'auto del Fucile che a sua volta era parcheggiata perpendicolarmente all'ingresso dell'autofficina con la parte anteriore rivolta verso il vicolo senza uscita. Non appena ho udito la prima detonazione ho chiuso gli occhi e mi sono rannicchiato sotto l'auto e li sono rimasto fino a che ho sentito uno stridere di pneumatici ed ho capito che la autovettura con la quale gli attentatori che erano giunti sul posto se ne erano andati. A.d.r. Non sono in grado ne' di dire il tipo dell'auto ne quante persone facevano parte del commando. Per la mia esperienza di meccanico ritengo si trattasse di un'auto di grossa cilindrata. Non so nemmeno il punto esatto in cui il Fucile e' stato finito in quanto non ho avuto il coraggio di entrare nel retro dell'officina. A.d.r. Appena l'auto si e' allontanata sono rimasto ancora qualche secondo sotto l'auto e quanto ne sono uscito ho visto mio padre che uditi i colpi si era precipitato dalla sua abitazione posta al piano superiore a quello dell'officina. Subito si e' fatta una folla di curiosi e mio padre ha gridato di chiamare la Polizia o i carabinieri. Non so dirvi chi l'abbia materialmente fatto. A.d.r. Non so dirvi il numero esatto delle detonazioni ma posso dirvi che le stesse sono state numerose e molto rumorose. La sparatoria e' durata pochi secondi ma molti intensi. A.d.r. Sono titolare dell'officina meccanica ove si e' verificato il fatto alla via Ovidio n. 17 in Volla (Napoli) da circa quattro anni. Il Fucile era mio cliente da circa due anni; l'auto Fiat Uno che stavo riparando, il Fucile l'aveva portata in officina circa due giorni fa. Oggi il Fucile era venuto presso la mia officina a bordo di una Fiat Uno di colore bianco per sapere a che punto fosse la riparazione. Dopo circa dieci minuti si e' verificato l'agguato mortale. (cfr. verbale di s.i.t. rese da Raiola Vincenzo il 17 gennaio 1997 presso il Comm.to di Ponticelli). Nel corso di successivi sopralluoghi, in via Lufrano del comune di Volla, in una zona di campagna nei pressi di un cavalcavia, nascosta da cumuli di terra, veniva rinvenuta una Fiat Croma, contraddistinta da telaio avente n. ZFAl54000*00430941*, completamente bruciata, all'interno della stessa venivano poi rinvenuti, interamente carbonizzati, un fucile calibro 12, un revolver calibro 38 e una pistola semiautomatico calibro 9 x 21. Tutti questi particolari vengono fedelmente riferiti da Mollo a Napoli Gennaro nel corso della conversazioni oggetto di intercettazione ambientale che si e' sopra richiamata e il cui contenuto viene di seguito riportato: ... omissis ... Mollo F.: Incom... Stava cosi' fuori alla prima porta. Napoli G.: Vi vide? Mollo F.: No. Napoli G.: Lui. Mollo F.: Come scendi giu' al vicolo. Napoli G.: Si, si. Mollo F.: Perche' io mi nascosi... Incom... Io mi nascosi la' dietro. Quando arrivo' Antonio "o' scacatiello", Pasquale fece cosi', sta la... Incom... Scendo, cosi' tre, quattro botte. Come giro l'angolo lui stava fori alla porta, stava cosi' fuori alla porta, cosi'. Come mi vide a me, si giro' cosi', il tempo che si girava bum, bum, e scappo' verso dentro. Fece cosi' e scappo verso dentro. Andai dentro e feci cosi' bum, bum, bum. Si giro' e fece cosi': "Ahh"! Poi l'ultima botta qua. Ando' con la testa nel muro, feci bum e salto' cosi' verso dietro. Si giro' cosi' verso dietro e ando' con la faccia per terra. Aveva la testa... Incom... Dissi al ragazzo: "vai sotto alla macchina, non ti muovere da qua... Incom. Poi lui venne dentro, dissi io: "sta qua a terra". Prese lui e lo spalummo' (spappolo', n.d.c.) la testa. Stessa la botta, si giro' all'incontrario. Cadde con la faccia per terra: bum, bum, bum. Cosi' dietro alla testa. Gennaro, la testa non la teneva piu'. Napoli G.: E il ragazzo del meccanico ti rispetta? Mollo F.: Si, il meccanico rimase sotto alla macchina non lo feci uscire... Incom. Napoli G.: No, tu lo sai a quello. Mollo F.: Non lo abbiamo voluto fare, quello ando' dentro alla paura, figurati. Napoli G.: No, perche' succede non hai capito? Dico tu lo sapevi pure a quello. Mollo F.: Si. Napoli G.: Comunque. Mollo F.: lntanto non me lo aspettavo, lo sai? Napoli G.: Il Pagliesco? Mollo F.: Si "o' Pagliesco" ... Incom... Sopra alla macchina. Napoli G.: Io lo sapevo il fatto del "Pagliesco" ma no adesso, quando tu me lo presentasti. Mollo F.: Si. Napoli G.: Ah! Franchitiello, io lo conoscevo di nome e me lo hanno detto una volta. Quando lo vidi, io rimasi cosi', dissi: "mannaggia la Madonna, questo e quello la' che so io, perche' Casarea me ne ha sempre parlato bene nel senso che quello e' criminale. Quello non sbaglia mai" Ora io conosco a te, Franchitie' allora e' come te. Tu dici: "e io cosa ne so come sono io"? Franchitie' ma. Mollo F.: Quel grande cornuto non tenne la fermezza di aspettare dentro alla macchina, perche' poi lui si fermo' dietro al vicolo. Quando scesi, scesi cosi', vedi. Come girai l'angolo, perche' non me lo aspettavo di vederlo la', io me lo aspettavo nell'officina, dissi: "io vado dentro dove sta, sta, gli do un paio di botte nel petto e cade a terra, poi mi prendo la macchina e vado a Napoli. Hai capito o no. Come girai l'angolo, quello stava fuori alla porta, si giro' di spalle per scappare dentro, feci cosi': bum, bum, due botte nella schiena. Si fece la... Incom... Prese, mi porta il giornale e fece proprio la descrizione come era successo. Napoli G.: Incom. Mollo F.: Armati. Due killer, uno armato di calibro 38 e uno di fucile. Il primo gli ha sparato i primi due colpi al petto, al torace all'entrata che poi non erano al petto, quelli erano dietro alla schiena e uscirono davanti. Napoli G.: E uscirono davanti vedi tu. Mollo F.: Due colpi qua. E scrissero poi: "il killer lo ha inseguito e l'altro con il fucile lo ha finito". Gennaro, gli diedi le prime due botte nelle spalle, si giro' e scappo' dentro, pero' non ebbe nessun... lncom... Poi lo incastrammo sotto al... Incom... Dove sta il bagno io cosi' qua dietro. Dentro: bum, bum, bum, dietro alla schiena. Quel cornuto non mori' subito, mori' l'ultima botta. Prese, si giro' e fece: "ahh! Incom... Feci bam, salto' proprio da terra... Incom... Dissi: "questo grande cornuto" Ora lui stava dentro alla macchina, me lo vidi dietro di me, disse: "dove sta questo sporco, dove sta questo sporco". Napoli G.: Incom. Mollo F.: Si, gia' se ne parlava. Napoli G.: Si. Mollo F.: Quando scendemmo. Napoli G.: Tutti e due insieme, ho capito. Mollo F.: Lo sai il bar Perrella? Napoli G.: Come giraste cosi'. Mollo F.: Io stavo abbassato sopra al sediolino e lui portava la macchina normale. Quando arrivammo fuori al bar Perrella, Pasquale fece da dentro alla macchina cosi', tutto apposto. Lui disse: "vai", e si abbasso' il coso. Io dentro alla macchina mi abbassai il coso in faccia e scesi. Quel grande cornuto venne dietro a me, disse: "dove sta questo sporco" Dissi io: "eccolo". Intanto si era fatto gia' tardi.. Incom... Si spalumbo' (spappolo', n.d.c.) tutta la faccia... Incom... Si giro' all'incontrario. Feci cosi' dietro alla testa: bum, bum, bum. La testa non la teneva piu. Andiamo avanti, andiamo disse. Prese la macchina... Incom.. Comunque saliamo in macchina ... Incom ... E lui stava sempre abbassato ... Incom ... Fuori alla salita schiattammo la ruota nel fosso e la macchina incomincio a fare cosi': tom, tom, con il cerchio a terra. Dissi io: "Francu' (Rea Francesco, n.d.c.) abbandoniamo la macchina e togliamo la macchina dalle mani di qualcuno". Disse lui: "dove la abbandoniamo". Dissi: "non preoccuparti". Disse: "prendi quell'altra cosa e mettila a portata di mano". Io gia' la tenevo nelle mani. Ora il 38 era scarico e mi misi la 9 nelle mani ... Incom ... Quello avanti che ci stava portando. Dovevamo accendere la macchina ... Incom ... La macchina: tun, tun, un macello per dietro al mercato: piano, piano. Ora, ogni tanto io mi ingrippavo perche' di tempo ne avevamo perso assai, dissi: "qua se riescono a venire le guardie". Ogni tanto mi alzavo con la testa e faceva lui: "abbassati, abbassati". Dissi: "ma vedi cosa si passa per andare avanti?" Mi scappo' una risata, Gennaro. Questo fatto e' rimasto nella storia. Dissi: "ma vedi cosa si passa per andare avanti, tu prendi a quello, corrici dietro". Si schiatta la ruota, vai piano, piano. Prendi la' mannaggia la Madonna. Gennaro, incendiammo la macchina sotto ai ponti dove sta quella masseria. Napoli G.: Si. Mollo F.: Incom ... Perche' quello incendio' la macchina. Parlano tra loro.: Incomprensibile. Mollo F.: Hai capito cosa si passa. Napoli G.: Il tempo di ucciderlo e poi. Mollo F.: Perche' alla macchina si schiatto' la ruota. Napoli G.: Si schiatto' la ruota, allora. Mollo F.: Incom ... Cioe' tu hai fatto questo macello di questa maniera, tutto questo bordello per fare che cosa, per campare. Cioe', perche' uno non e', per esempio, va bene io guadagno 50, 100 milioni al mese. Gennaro, tutto il blocco campiamo, tu capisci. Napoli G.: Si, si capisce, ve bene, pero' la' c'era una questione, che quello. Mollo F.: Ma la' era una cosa di principio. (Cfr. conversazione ambientale di cui all'allegato n. 41). A ben vedere la dovizia e la precisione dei particolari, anche minimi, riferiti da Mollo, un evidente autocompiacimento per l'impresa realizzare, l'esatta individuazione dei ruoli avuto da ciascuno dei complici nel portare a termine l'agguato, le ragioni per le quali l'autovettura fu abbandonata non lontano dal luogo teatro degli eventi consentono gia' di per se' di escludere che Mollo si attribuisca la paternita' di azioni da altri compiute. In primo luogo Mollo racconta di avere effettivamente utilizzato un'arma calibro 38 e un'altra arma calibro 9 (... Ora il 38 era scarico e mi misi la 9 nelle mani ...) e a sparare furono due persone due, lui e Rea Francesco (indicato nel corso del dialogo ora con il nome di Francuccio ora con il soprannome "O' Pagliesco"), in particolare i primi colpi furono esplosi da Mollo, il quale dopo avere colpito con due colpi Fucile alle spalle (si badi che sul punto Mollo fa notare al suo interlocutore l'inesattezza in cui sono caduti i giornalisti), insegue la sua vittima che cerca rifugio all'interno del bagno, incastrandolo in prossimita' del bagno; a questo punto interviene anche Rea, il quale sebbene avesse il compito di aspettare in auto che il suo complice tornasse, non seppe avere "la fermezza di spettare dentro alla macchina". Insieme, Rea e Mollo esplodono all'indirizzo di Fucile, gia' ferito, un volume di fuoco tale da fargli saltare la testa (... lo schiattai la testa, .... ando' con la testa nel muro, feci bum e salto' cosi' verso dietro; .... Prese lui e lo spalummo' la testa, ... Gennaro la testa non la teneva piu' ...). Subito dopo l'azione di fuoco i due fuggono a bordo dell'autovettura, ma nel corso della fuga forano una gomma e decidono dunque di abbandonare velocemente l'autovettura e di incendiarla (Fuori alla salita schiattammo la ruota nel fosso e la macchina faceva cosi': tom, tom, con il cerchio a terra. Dissi io: "Francu', abbandoniamo la macchina dalle mani di qualcuno".... Gennaro, incendiammo la macchina sotto ai ponti dove sta quella masseria). Mollo precisa inoltre che il "via libera" era stato loro dato da Manna Pasquale, il quale tuttavia non avrebbe mai potuto sparare perche', essendo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, era impossibilitato ad allontanarsi ed anzi era e doveva essere soggetto ai controlli da parte delle forze dell'ordine (... ho detto: "Pasquale, dimmi dove lo devo prendere" dissi: "vattene a casa che ti vengono a prendere a te, me la vedo io, mi allontano io quattro cinque giorni" .... Pasquale fece cosi': sta la' ... Scendo cosi' tre quattro botte). Il valore probatorio di questa conversazione, la quale e' gia' di per se' eloquente, trova ulteriore momento di riscontro, oltre che nelle risultanze oggettive dei reperti rinvenuti nel corso del sopralluogo, anche nelle sommarie informazioni testimoniali rese, nell'immediatezza dell'accaduto, dalla convivente di Fucile Francesco, Scarpato Rosa. Quest'ultima, a proposito dei possibili autori dell'agguato mortale, indirizzava i propri sospetti nei confronti degli uomini del clan "Veneruso" e piu' in particolare nei confronti proprio di Manna Pasquale, Mollo Francesco, Rea Francesco e Antonio Maione. Secondo la ricostruzione fornita dalla donna tra i vertici del clan "Veneruso" e Fucile Francesco, anch'egli affiliato allo stesso sodalizio, erano sorti dei contrasti in seguito all'omicidio di Romano Francesco, soprannominato "Franchino di Casarea", poiche' Fucile era ritenuto dai suoi stessi compagni l'autore di tale delitto. Queste ragioni di attrito avevano raggiunto uno spessore tale che, secondo quanto riferito da Scarpato Rosa, Fucile Francesco si era munito di una autovettura blindata. Significativo, al fine di comprendere la portata della frattura sorta all'interno del gruppo, e' il particolare che dopo pochi mesi dall'uccisione di Romano Francesco, Fucile viene ristretto presso la Casa di Lavoro di Sulmona, ove vi rimane per circa dieci mesi: in tale arco di tempo vengono uccisi, entrambi in agguato di camorra, due intimi amici di Fucili, Biondelli Rodolfo (piu' volte indicato nel corso delle conversazioni oggetto di intercettazioni con aggettivi spregiativi) e Esposito Giovanni, soprannominato "'O bumbularo". Nei tre mesi che intercorrono tra la scarcerazione di Fucile e l'uccisione dello stesso, Fucile Francesco ha contatti quanto mai tesi con Manna Pasquale e Mollo Francesco e si avvicina al clan "Sarno" operante nella zona di Ponticelli (in particolare, il 21 novembre 1996 Fucile Francesco viene fermato per un controllo da parte della Polizia di Stato del Comm.to di Ponticelli, che lo sorprende in compagnia di Esposito Salvatore, fratello di Esposito Giovanni di cui si e' sopra detto, nonche' di due esponenti di spicco del clan "Sarno", Sarno Vincenzo e Sarno Giuseppe. Scarpato Rosa, riferisce inoltre dei forti timori per la propria incolumita' avvertiti da Fucile, in occasione di un incontro "chiarificatore" che egli ebbe con Manna Pasquale e Mollo Francesco presso la stessa officina meccanica, all'interno della quale e' stato poi ucciso, incontro al quale Fucile si presento' armato di una pistola che si era preoccupato di far notare ai due. In particolare Scarpato cosi' riferisce: ... omissis... D. Ha sospetti sugli autori dell'omicidio? R. Posso dire che i miei sospetti si incentrano sul clan criminale operante su Volla e precisamente su Manna Pasquale, Mollo Francesco, Rea Francesco detto "O' Pagliesco" che so essere originario di Casalnuovo di circa 32-33 anni, di statura bassa e pelato, inoltre Maione Antonio, soprannominato "Tonino di Casarea". D. Da cosa scaturiscono i suoi sospetti? R. I miei sospetti nascono dal fatto che il Fucile prima che fosse mandato alla casa di lavoro circa un anno fa sapevo che svolgeva attivita' criminali insieme proprio al clan di Volla. Con questi faceva estorsioni ed altri reati sempre in Volla. I contrasti tra di loro sono nati successivamente all'omicidio di tale Romano Francesco soprannominato "Franchino di Casarea" in quanto i citati ritenevano che l'autore dell'omicidio fosse stato tra gli altri anche il Fucile Francesco. A seguito di questo episodio, ricordo che Francesco, temendo per la propria incolumita' acquisto' un'autovettura Volkswagen Scirocco di colore nero blindata e spesso camminava armato. Dopo circa due-tre mesi Francesco e' stato portato alla casa di lavoro di Sulmona ove e' rimasto per circa dieci mesi. In questo frangente di tempo e' stato ucciso Biondelli Rodolfo, intimo amico del Fucile ed inoltre ultimamente Esposito Giovanni "'O Bumbular". Da quando e' uscito dalla casa di lavoro e' cioe' a circa tre mesi Francesco riceveva delle strane telefonate sul suo cellulare senza che nessuno parlasse. Circa un mese fa invece e' arrivata una telefonata sul cellulare e l'interlocutore era Manna Pasquale il quale ha avuto un diverbio telefonico a conclusione del quale ho sentito Francesco dire "Io non voglio sapere piu' niente a questo punto ognuno si fa le cose sue". In questa stessa telefonata il Manna ha chiesto un incontro chiarificatore con Fucile ma il Fucile non volle andarci per paura. Dopo due tre giorni a seguito di altra telefonata ricordo' che fu fissato un incontro che lo stesso Fucile decise di far svolgere in Volla alla via Lufrano presso l'officina Riccardi dove egli aveva lavorato tempo addietro. Ricordo che il Fucile ando' armato con una pistola calibro 9 x 21 che teneva nella cintola dei pantaloni. Voglio precisare che l'orario era intorno alle 17 e che mentre ci portavamo sul posto notammo un'auto civile della Polizia e ci allontanammo a forte velocita' per paura di un controllo. Arrivati sul posto subito dopo arrivarono Mollo Francesco e Manna Pasquale a bordo di una autovettura Renault Clio di colore verde. Giunti sul posto i due andarono incontro al Fucile e si baciarono e nell'occasione il Manna, notata la pistola addosso al Fucile, disse "Cosa te la sei portata a fare" e Francesco rispose "Non la porta per voi". I tre si allontanarono e si portarono all'interno della ditta Riccardi salendo una scala. Sono ritornati dopo circa due ore e il Francesco mi disse che era tutto a posto. La cosa pero' che mi colpi' che mentre andavamo via il Fucile si mise la pistola in mezzo alle gambe pronta all'uso e io gli dissi "Vuoi vedere che l'incontro era una scusa per farci qualche agguato? E lui rispondendomi di non essere uno scemo comincio' a guidare a tutta velocita' cambiando perfino strada. Successivamente Francesco mi disse che in questo incontro il Manna e il Mollo gli avevano rinfacciato che si era messo con quelli del Rione De Gasperi ma lui aveva negato dicendomi che si recava sul Rione solo per andare a trovare la vedova di Esposito Giovanni morto ammazzato poco prima. Da allora per quanto ne sappia non vi sono stati altri contatti con queste persone fatta eccezione per un incontro avvenuto circa una settimana fa quando verso le ore 15 mentre eravamo a bordo della Fiat Uno verde insieme a mia figlia lui improvvisamente giro' all'interno dell'ipermercato "Le Ginestre" in Volla dove sapeva che si riunivano di solito il Manna e il Mollo ed il Maione. Fuori al negozio trovammo il Manna il Mollo e poco distante vi era il Maione Antonio in compagnia di altre persone. Francesco, sceso dall'auto bacio' il Mollo e il Manna e con questi entro' all'interno dell'ipermercato. Il Maione si allontano' dal posto poco dopo unitamente alle persone che erano in sua compagnia. Il Fucile usci' dopo circa mezz'ora e salito in auto ci allontanammo dal posto. Anche in questa occasione, a mia richiesta mi disse che era tutto a posto. Voglio inoltre aggiungere che l'altro ieri sera, verso le ore 18 mentre camminavamo con l'auto il Fucile ha arrestato l'auto in una campagna di via Lufrano ed ha cacciato la pistola dalla cintola esplodendo quattro o cinque colpi. Alla mia richiesta mi disse che aveva provato solo la pistola per vedere se si inceppava. Preciso altresi' che non sapevo che aveva portato con se l'arma in quella occasione. Voglio infine aggiungere che circa due anni fa fu rinvenuto dai carabinieri di Volla un'ingente quantitativo di armi in un garage di Volla e in quella occasione il Fucile mi disse che le armi erano del clan al quale apparteneva e cioe' quello dei Veneruso. (Cfr, verbale di s.i.t. rese da Scarpato Rosa in data 17 gennaio 1997 presso il Commissariato P.S. di Ponticelli). Le dichiarazioni rese da Scarpato Rosa, allorche', in particolare, riferisce che Mollo e Manna avevano rimproverato a Fucile di essersi alleato con il clan "Sarno" (che ha la sua base logistica, appunto al Rione De Gasperi del quartiere Ponticelli) consentono dunque di ricostruire anche il movente dell'omicidio di Fucile ad opera di personaggi appartenenti allo stesso clan cui era stato affiliato la stessa vittima. D'altro canto lo stesso Mollo nel commentare l'episodio con il suo interlocutore conclude asserendo: "Ma la' era una cosa di principio" e Gennaro Napoli gli risponde "Ma poi la ti faceva lui a te". Il movente dell'omicidio, maturato come si e' detto nell'ambito del sistema di alleanze tra i clan operanti in zone limitrofe e la ferocia con cui gli esponenti del clan "Veneruso" hanno voluto punire il voltafaccia di Fucile Francesco consente di inquadrare il delitto nell'ambito del programma associativo portato avanti dal sodalizio criminale. E' di chiara comprensione l'importanza che per un clan ha la fedelta' dei propri associati e la conseguente necessita' di reprimere in modo definitivo e al tempo stesso plateale tentativi di scissione o anche comportamenti autonomistici. L'uccisione di Fucile Francesco ha necessariamente una doppia valenza per l'associazione criminosa: verso l'esterno perche' agli occhi dei cittadini rafforza l'immagine di potenza militare del clan e ne ribadisce la forza intimidatoria; verso l'interno, perche' serve a scoraggiare che altri associati possano avanzare pretese di scioglimento dal vincolo associativo, o, ancora peggio, entrare nelle fila di altro clan rivale. Proprio attraverso la commissione di simili delitti un'organizzazione criminosa di stampo camorristico si assicura l'assoggettamento e l'omerta' degli affiliati e degli estranei.". Anche in questo caso, infatti, sono stati utilizzati, per integrare il quadro indiziario a carico degli indagati, tra cui il Rea, esclusivamente il contenuto dell'intercettazione ambientale ed i riscontri rinvenibili nelle indagini svolte nell' immediatezza del fatto oltre che le dichiarazioni della Scarpato, pure risalenti al 17 gennaio 1997, vale a dire tutto materiale indiziario gia' in possesso del P.M. prima dell'emissione dell'ordinanza cautelare in relazione all'omicidio Fico/Porricelli. Accertato cosi' in punto di fatto che tutti gli elementi posti a fondamento della richiesta di applicazione della misura in ordine ai fatti oggetto dell'ordinanza cautelare del 16 febbraio 2000 erano gia' in possesso del P.M. all'atto dell'emissione della prima ordinanza cautelare relativa all'omicidio Fico/Porricelli, viene in concreto rilievo il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente secondo cui anche in siffatta ipotesi e' necessario, per l'applicabilita' del disposto dell'art. 297, comma 3, C.P.P., accertare la sussistenza del vincolo di connessione qualificata di cui all'art. 12, comma 1, lettere b) e c) limitatamente all'ipotesi di reati commessi per eseguire gli altri. Secondo la Corte rescindente questa sarebbe infatti l'unica interpretazione possibile alla luce dell'inequivoco tenore letterale e logico della norma. Ma nell'affermare l'opposto principio questo Tribunale, nell'ordinanza annullata, si era uniformato alla consolidata - cosi' definita dalla stessa Corte nella sentenza della sez. 4a 14 dicembre 1999, dep. 22 gennaio 2000, Ascione - giurisprudenza di legittimita' (Cass. 290/1999 CED 214050; 1835/1999, CED 213500; 3381/1999, CED 212824; 1290/1997 CED 208891; 1719/1996, CED 20589; 4246/1997, CED 208334) secondo cui la disciplina di cui all'art. 297, comma 3, C.P.P. e' applicabile anche a fatti diversi, in connessione non qualificata ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettere b) e c) C.P.P., sempre che di essi si accerti in modo incontestabile la sussistenza, a disposizione dell'autorita' giudiziaria, di idonei indizi di colpevolezza gia' al momento dell'emissione del primo provvedimento cautelare. Peraltro la stessa Corte di cassazione con sentenza del 20 marzo 2001 ha poi dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica di Napoli avverso l'ordinanza con la quale questo Tribunale aveva dichiarata cessata l'efficacia della misura cautelare applicata con l'Ordinanza emessa il 16 febbraio 2000 nei confronti del Mollo Francesco la cui posizione e' assolutamente identica e sovrapponibile a quella del Rea. Invero il tenore letterale dell'originaria formulazione dell'art. 297, comma 3, C.P.P. ("se nei confronti di un imputato sono emesse piu' ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benche' diversamente circostanziato o qualificato, i termini decorrono dal giorno in cui e' stata eseguita o notificata la prima ordinanza ...") non aveva impedito alla giurisprudenza, una volta identificato nella norma il divieto delle cd. contestazioni a catena, di estenderne la portata anche all'ipotesi di piu' ordinanze concernenti fatti diversi anteriormente commessi, legati o meno dal vincolo della connessione, dal momento che la colpevole inerzia dell'A.G. nella contestazione dei fatti oggetto della seconda ordinanza non poteva incidere negativamente sul diritto dell'imputato in vinculis ad ottenere la liberazione allo scadere del termine di custodia fissato dalla legge. Ne derivava che in siffatta ipotesi, mentre nel caso in cui gli elementi necessari e sufficienti per la contestazione dei fatti oggetto della seconda ordinanza fossero gia' in possesso dell'A.G. prima dell'emissione della prima ordinanza, la decorrenza del termine doveva esser retrodatata alla data di esecuzione o di notifica del primo provvedimento restrittivo, invece, nel caso in cui detti elementi fossero stati acquisiti successivamente a tale momento, l'identificazione del momento cui retrodatare l'inizio della custodia per i fatti oggetto della seconda ordinanza risultava incerto in quanto sostanzialmente legato alla valutazione del giudice circa la durata della colpevole inerzia dell'A.G. a procedere alla relativa contestazione. Di qui - e dunque con esclusivo riferimento al caso di una seconda ordinanza in relazione a fatti anteriormente commessi ma in relazione ai quali le condizioni di cui all'art. 273 C.P.P. si fossero realizzate solo dopo l'emissione della prima - la necessita' di un intervento del legislatore, attuato con l'art. 12, comma 1, della legge n. 332/1995 che ha sostituito l'originario testo dell'art. 297, comma 3, introducendo da un lato il limite oggettivo della connessione qualificata ex art. 12, lettere b) e c), e della desumibilita' dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione e individuando, anche per tale ipotesi, il momento di decorrenza del termine di custodia in quello dell'esecuzione o notificazione della prima ordinanza cautelare. Cosi' introducendo, per tali ipotesi, una disciplina del computo dei termini di custodia che, sottoposta al vaglio di costituzionalita' - proprio con riferimento all'ipotesi in cui la notizia dei fatti oggetto del successivo provvedimento coercitivo non risultasse dagli atti all'epoca del primo intervento cautelare e nella parte in cui esclude qualsiasi rilevanza della tempestivita' della nuova contestazione agli effetti della decorrenza dei termini - e' stata ritenuta perfettamente legittima, avendo la Corte costituzionale, con la sentenza n. 89/1996, ritenuto che "la disposizione impugnata sfugge a qualsiasi censura di irragionevolezza sia perche' il valore che la stessa ha inteso preservare non lascia spazio a disuguaglianze arbitrarie, sia perche' il legislatore ha ricondotto il sistema all'interno di un alveo contrassegnato da garanzie di obiettivita' e dunque di effettivo rispetto del principio di eguaglianza" "posto che e' la stessa Costituzione (art. 13, quinto comma) ad imporre la previsione di termini di durata delle misure ed a presupporre l'inconferenza delle esigenze che dovessero residuare al di la' di un limite temporale certo ed invalicabile". Orbene l'applicazione del principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente della Corte di cassazione - che limita ai soli casi di reati legati dal vincolo di connessione qualificata l'applicabilita' della disciplina dell'art. 297, comma 3, C.P.P. pur nell'ipotesi che anche per essi l'A.G. disponesse degli elementi necessari e sufficienti per procedere alla contestazione gia' prima dell'emissione del primo provvedimento restrittivo - impone a questo giudice di rinvio, obbligato a rispettarlo, un'interpretazione della norma in contrasto con il dettato costituzionale (art. 13, quinto comma, della Costituzione) che riserva alla legge la durata dei termini di custodia, giacche' lascerebbe arbitro il p.m., gia' in possesso degli elementi sufficienti alla contestazione di reati non legati da connessione qualificata con quello oggetto della prima ordinanza, di procrastinarne la contestazione cosi' prolungando a sua discrezione il termine, certo ed invalicabile, di custodia stabilito dalla legge (come e' avvenuto nel caso di specie in cui l'ordinanza cautelare per il reato associativo e per l'altro episodio omicidiario - in relazione ai quali si e' accertato incontestabilmente che l'A.G. era in possesso degli elementi necessari ad integrare le condizioni di cui all'art. 273 C.P.P. gia' prima dell'emissione del primo provvedimento cautelare - e' stata emessa un anno e quattro mesi dopo la prima ordinanza relativa all'omicidio Fico/Porricelli). Ne consegue che l'unico rimedio consentito in questa sede - secondo l'insegnamento della stessa Corte costituzionale (cfr. sent. 18 febbraio 1998, n. 16 e ord. n. 11/1999 del 21 gennaio 1999) - e' sollevare la questione di costituzionalita' della norma risultante dall'interpretazione fattane con il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, dovendo detta norma ricevere ancora applicazione nel giudizio rescissorio e non potendo questo giudice di rinvio altrimenti sottrarsi alla regola juris additata dalla Corte suprema. Siffatta questione di costituzionalita' e' non solo non manifestamente infondata per i motivi innanzi esposti ma anche rilevante ai fini della decisione dell'appello proposto dalla difesa del Rea posto che la giurisprudenza di legittimita' e' pressocche' concorde nell'escludere la configurabilita' del vincolo della connessione qualificata tra il delitto associativo (contestato al Rea con la seconda ordinanza) ed i fatti omicidiari (cfr. da ultimo, sez. 5a 25 gennaio 2000, CED 216498, Battaglia, conformi CED 205128 e 207161, 216244; contra 215017) e che, in ogni caso, detto vincolo non sarebbe in alcun modo configurabile tra i due delitti di omicidio oggetto rispettivamente della prima e della seconda ordinanza cautelare; di tal che l'applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte rescindente comporterebbe il rigetto del gravame che andrebbe invece accolto seguendo l'interpretazione ritenuta da questo Tribunale costituzionalmente corretta.